In questo numero
Maggio 2002

La cisterna screpolata e il coraggio di essere imperfetti
L’inventore della comico terapia non riesce a trattenere le lacrime
Caino che cosa ne hai fatto di tuo fratello?
La salvezza di Gesù
Paranormale cosa c'è di vero?
Intervista a P.Giustino (II Parte)
Viaggiare Università della vita
Dal Consiglio Pastorale
Che bella esperienza
Il coraggio della speranza
Un salto in biblioteca
Una giornata da non dimenticare

scarica il numero 9 in formato pdf


C’erano una volta due cisterne, che distanziavano qualche decina di metri. Si guardavano, e, qualche volta, facevano un po’ di conversazione.Erano molto diverse: la prima era perfetta. Le pietre che la formavano erano salde e ben compaginate. A tenuta stagna. Non una goccia della preziosa acqua era mai stata persa per causa sua. La seconda cisterna era invece piena di fenditure, come delle ferite, dalle quali sfuggivano rivoletti d’acqua. La prima, fiera e superba della sua perfezione, si stagliava nettamente. Solo qualche insetto osava avvicinarsi, raramente qualche uccello le faceva visita.
L’altra era coperta di arbusti fioriti, erbette e more, che si dissetavano dall’acqua che usciva dalle sue screpolature.Gli insetti ronzavano continuamente intorno a lei e gli uccelli facevano il nido sui bordi.
Non era perfetta, ma si sentiva tanto, tanto felice.

Abbiamo bisogno di credere nella perfezione, ma allo stesso tempo di accettare il nostro essere imperfetti. Viviamo in un mondo in cui troppo spesso la perfezione viene confusa con lo sforzo per essere “superiori”, “i primi”, “i migliori”.
Ma l’unica, vera perfezione è l’Amore. Solo alla luce di questo possiamo capire le parole di Gesù quando ci dice “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Parole che vengono dopo le beatitudini dei poveri, di quelli che piangono, dei miti, di quelli che hanno fame e sete di giustizia, dei misericordiosi, dei puri di cuore, dei pacificatori e dei perseguitati (ingiustamente) a causa della giustizia.
In questo numero troverete parole che raccontano di uomini di pace, di povertà, di ingiustizie e di esistenze vissute alla luce di Cristo, ma nel coraggio dell’imperfezione. Troverete prospettive e speranze di dialogo. Un dialogo quanto mai indispensabile, alla luce di quella Perfezione che ci fa essere cristiani e di quell’umile cisterna imperfetta, capace però di dissetare fiori e uccellini. Speranze di chi crede nella perfezione, ma mette in gioco il suo essere imperfetto per aprirsi al mondo che lo circonda.
Chi vive a braccia aperte, di solito, è costretto a mettersi in discussione, ma trova tanta gente da abbracciare.

Federica Grandis


“L’INVENTORE DELLA COMICOTERPIA NON RIESCE A TRATTENERE LE LACRIME”

Non so se c’entra con la parrocchia ciò che sto scrivendo. Lo scrivo lo stesso, perché penso che oggi, nell’epoca post-moderna, la parrocchia di Sant’ Agostino ed ogni altra parrocchia, ben delimitate dai loro confini territoriali, sono diventate grandi come il mondo che ogni giorno, anzi ogni ora, attraverso i mass - media entra nelle nostre case con il suoi problemi, le sue ingiustizie, le sue contraddizioni, le sue violenze, le sue povertà e miserie.
Da “Repubblica” riprendo alcuni passi più significativi di un articolo - intervista di Caprile(giornalista inviato in Afghanistan) intitolato “I bimbi afghani fanno piangere il clown”. Li ho letti e riletti e ancora una volta voglio leggerli insieme a voi per interrogarmi e riflettere.
“Non è riuscito a strappare un solo sorriso nonostante la vistosa palandrana da clown, i larghi pantaloni multicolori, il pullover rosa - fucsia, i lunghi capelli bianchi e blu, i baffi a manubrio e gli occhiali da Arlecchino. Quei bambini stavano troppo male e in quel lazzaretto che è l ‘Indira Ghandi Hospital di Kabul c’era troppo dolore perché qualcuno trovasse la forza di ridere. E’ finita che si è messo a piangere lui, il grande Patch Adams, il sostenitore della comico - terapia. E se dopo aver visto i reparti di questa clinica in cui manca tutto e si può morire per la più banale della infezioni, si scioglie in lacrime uno come il Dott. Adams : << Non potrò mai dimenticare ciò che ho visto >>, allora vuol proprio dire che al peggio non c’è mai fine. Bosnia, Kossovo, America Latina, Africa, Asia, Patch Adams in quarant’anni di viaggi intorno al mondo ha portato la sua filosofia del...ridere per vivere…e il suo contributo di grande medico e di grande clinico ovunque si soffrisse. Gli mancava l’Afghanistan; ieri i ragazzi di “A. Patch work for Peace( un gruppo di ventitrè clown-doctor che saranno a Kabul per tre settimane)ce l’hanno portato...Mustafà Maraj, il primario, l’ha accolto senza tanti problemi…
Inizia così la visita di Patch Adams nei reparti di questo ospedale. Primo piano, reparto di medicina interna. Al posto della porta c’è una vecchia e sporca coperta. Nello stanzone ci sono otto letti senza lenzuola su cui giacciono bambini malnutriti, affetti di dissenteria, tubercolosi. Non ci sono infermiere, madri e sorelle di quegli sventurati provvedono a tutto. Una tazza di tè ed un pezzo di pane, da mangiare non c’è altro. L’armadietto dei medicinali è desolatamente vuoto. Sul grosso tavolo al centro della stanza c’è una siringa sporca di sangue, l’aria è irrespirabile. Al secondo, al terzo ed al quarto piano le cose sono esattamente le stesse……Uscire vivi da questo posto dev’essere un’impresa… E pensare che in molti casi potrebbe fare il miracolo un antibiotico a pochi euro. La visita è finita, Adams può tornarsene a casa, ha visto cose che non dimenticherà e a chi gli chiede quali siano le sue impressioni ,risponde con un lungo silenzio prima di mettersi a piangere come un bambino <<Sto pensando a tutti quelli che oggi si compreranno un Rolex. No, non voglio certo farli sentire in colpa, è un bell ‘ orologio, ma non riesco a togliermi dalla testa che con quei soldi si potrebbe ristrutturare un intero reparto di questo ospedale >>”

Così termina l’articolo. Non trascrivo quello che ha promesso al direttore dell’ospedale per non occupare troppo spazio e perché possiamo bene immaginarlo. Non so se Patch Adams sia un Cristiano, se aderisca ad altre Religioni o se sia un ateo, ma sicuramente è un uomo giusto che opera con carità, cioè per amore come fanno miglia di sacerdoti missionari e religiosi che nel nome della loro fede aiutano spiritualmente e materialmente i miserabili del mondo.
Lo ringrazio per avermi costretto a riflettere e per aver suscitato in me, anche se non comprerò mai un Rolex, un senso di colpa. Io vivo in una società opulenta in cui, fatte le dovute eccezioni( la povertà ci sta anche vicino) siamo piccoli, medi o grandi “Epulone”, mentre nei campi nomadi o nei ghetti degli extracomunitari a poca distanza da noi e nel mondo( soprattutto Africa, America Latina, Asia, Europa Orientale) soffrono e muoiono per denutrizione, mancanza di medicine e di assistenza milioni di disperati “Lazzaro”, soprattutto bambini. Non faccio forse parte di quel venti per cento di abitanti della Terra che consumano l ‘ ottanta per cento delle risorse mentre l’altro ottanta per cento usufruisce, e non sempre, del venti per cento delle ricchezze che il buon Dio ha messo a disposizione di tutte le sue creature? Io che professo la fede Cattolica e mi dichiaro apertamente Cristiano, sono pronto a mettere in ogni momento a confronto i miei comportamenti con il comandamento dell’ Amore “Ama Dio con tutto il tuo cuore e tutta la tua mente, ed il prossimo tuo come te stesso?”. Giustifico come necessaria per la mia vita l’accettazione incondizionata delle offerte superflue, inutili e vuote del mercato e del consumismo? Cerco di tacitare la mia coscienza elargendo ai diseredati le misere briciole della mia elemosina che nulla ha a che fare con la carità cristiana? Faccio un leale e sincero esame di coscienza… E che Dio mi guidi e mi illumini per migliorare giorno per giorno il mio operare da Cristiano e perché possa essere un vero testimone e quindi apostolo credibile della mia fede.

P.P.


Caino che cosa ne hai fatto di tuo fratello? (Genesi)
(da un articolo di Cesare Frassinetti)
(Da un articolo di Cesare Frassinetti)

Il documento di Cesare Frassinetti, trovato in Internet, mi ha molto colpito per questo ho voluto sottoporlo anche alla vostra attenzione.
Nella Genesi, dopo l’uccisione di Abele Dio chiede a Caino: “Che cosa ne hai fatto di tuo fratello?”.
Caino risponde con un’altra domanda: “Che cosa ho a che fare io con mio fratello?”.
Le parole della risposta di Caino risuonano tremendamente assordanti anche ai nostri giorni. Per tutto quello che succede attorno a noi (è cronaca quotidiana: figli che uccidono i propri genitori, genitori che uccidono i propri figli, automobilisti che non soccorrono chi è stato incidentalmente investito, le guerre di religione, le guerre tribali, il terrorismo, le popolazioni decimate dalla mancanza di cibo o dalle malattie, ecc…).
Se guardiamo indietro nel tempo, continua Frassinetti, incontriamo due personaggi: FRANCESCO di Assisi e Mahatma GANDHI. Due persone che, pur avendo vissuto in epoche diversissime, pur appartenendo a due culture e a due mondi completamente diversi, hanno sicuramente posto la PACE al centro della loro esperienza di vita. Sorprendente è la loro comune ispirazione, anche se con modalità ed in contesti culturali diversi, alla vita di Gesù di Nazaret e al suo discorso della montagna:
(“Beati quelli che sono poveri… Beati quelli che non sono violenti… Beati quelli che diffondono la pace”)
In coerenza con quel discorso e seppure a secoli di distanza tra loro, Francesco e Gandhi, hanno assunto su di sè la condizione degli ultimi e la sofferenza dei poveri, facendone l’unica misura del grado di giustizia di una società. Per cui possiamo dire che: la scelta della povertà e il farsi carico della sofferenza dei poveri, divengono, per loro, il fine ed il mezzo di tutta la loro vita.
Francesco si spoglia delle ricche vesti frutto dei lucrosi commerci del padre, rimanendo così completamente nudo di fronte al vescovo di Assisi.
Gandhi, che era inserito nella società borghese come avvocato, si spoglia dei raffinati abiti di stile londinese, per vestire gli stessi indumenti dei poveri della sua terra.
Altra impressionante comu-nanza tra Francesco e Gandhi, è quella di volerROVESCIARE COMPLE-TAMENTE LA LOGICA DELLA SOFFERENZA, aderendo comple-tamente alla regola: operare non per vincere, ma per convincere con pazienza inflessibile. E se la sordità al dialogo persiste, assumere sulle proprie spalle il peso dell’odio e della negatività. Così essi hanno messo in pratica il sapersi donare per la verità. E questo è l’essenza della NON VIOLENZA ATTIVA.
Certamente un discorso molto duro, ma se osserviamo attentamente la STORIA, possiamo vedere che il cammino profondo della specie umana non è segnato dal succedersi dei vari Napoleone, ma da quegli uomini e donne, spesso sconosciuti, che hanno saputo affidarsi alla “ FORZA DELLA VERITA’ “ anche fino all’estremo dono della vita.
Anch’io concordo con Frassinetti e sono sempre più convinto che la violenza genera sempre e soltanto altra violenza. Contrastare la violenza con altra violenza fa sprofondare sempre più la dignità dell’uomo e provoca, inesorabilmente ancora maggiori sofferenze, soprattutto anzi soltanto, a quelli che sono più indifesi e più poveri.

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente.

Bertolt Brecht

E’ noto, continua Frassinetti, che negli USA l’amministrazione Bush ha stanziato ben 60 milioni di dollari (62 milioni di euro pari a 120.000 miliardi di lire) per realizzare il cosiddetto sistema dello Scudo Spaziale. Per garantirsi da ogni possibile aggressione. A fronte di ciò, nel resto del mondo (ma anche in certi strati sociali della stessa America) tante persone vivono in condizioni di indigenza o muoiono per mancanza di cibo e per malattie. Non solo ma entro venti anni, tre miliardi di persone rischiano carenze gravissime di acqua potabile, per non parlare dei problemi relativi all’inquinamento dell’aria che tutti respiriamo.

Riflessione: Ma allora se tante risorse, come i 60 miliardi di dollari, sono dissipate in armamenti, siamo così sicuri che la disperazione non possa provocare delle reazioni tremende e fatali per tutti? Conclusione: Francesco e Gandhi con la loro vita ci richiamano a recuperare, ciascuno di noi, quei principi di: responsabilità personale e solidarietà, da realizzare quotidianamente nella nostra vita di tutti i giorni cercando di mettere sempre in pratica nel rapporto con agli altri, ciò che Francesco e Gandhi hanno realizzato con la loro vita:
Operare per convincere, non per vincere. Dialogare sempre, sopraffare mai.

Gianni Vantaggi


 


La salvezza di Gesù

 

Le cronache degli ultimi tempi hanno molto dibattuto sul tema dell’immigrazione e del terrorismo internazionale.Entrambi i fenomeni ci parlano di persone assolutamente diverse da noi, con usi, abitudini e modi di vita proprie, che bussano alla porta di casa nostra chiedendo spazio a volte irrompendo nella nostra vita. Per non ragionare in astratto voglio immaginarmi quale sarebbe la mia reazione e quella della mia famiglia se una famiglia di curdi proprio di quei curdi sbarcati a Taranto poco tempo fa, bussasse a casa mia, sporchi, maleodoranti per il viaggio, e affamati. Senza ragionare in astratto vi dico che spesso, quando un ragazzo del Marocco o dell’Albania si avvicinano per lavarmi il vetro della macchina, non do loro nemmeno un euro.Non mi resta difficile pensare che se venisse una famiglia di curdi la mia reazione sarebbe quella di trovare mille scuse e giustificazione per dire loro di no:”No guarda, sai è nata da poco la bambina, staremmo troppo stretti.”Succede però che ascoltando la voce di Dio il mio atteggiamento è invitato a cambiare. La voce di Dio che risuona nelle parole di Gesù ( Matteo 25,32-46) dicono: “Perchè io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visistato, carcerato e siete venuti a trovarmi” alla domanda :” Signore quando ti abbiamo visto affamato, assetato, forestiero, nudo, ammalato o in carcere?” Gesù risponde:
“ In verità vi dico: ogni volta che avete fatto una di queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Ma questo è solo uno dei brani dove Gesù parla dei poveri e lo fa riprendendo la tradizione dell’Antico testamento dove Dio è sempre alleato, del povero, dell’orfano e della vedova. Se poi vediamo la vita di Gesù, il modo in cui Lui vive allora troviamo ancora di più conferma della centralità dei poveri; infatti lo vediamo quotidianamente e costantemente abitare in mezzo ai sofferenti: indemoniati, paralitici, storpi, peccatori, prostitute,affamati, predicare in luoghi pubblici in mezzo al popolo e pochissimo nel tempio. Il popolo dei diseredati è la sua famiglia. Charles De Foucauld, una delle più grandi figure nella spiritualità del nostro tempo, leggendo questo brano del Vangelo non si capacitava del fatto che il Figlio di Dio in persona dicesse: “Ogni volta che fate una di queste cose ad un o di questi miei fratelli più piccoli è a me che la fate” e se un povero bussava alla sua porta lasciava il momento dell’Adorazione Eucaristica per continuare l’adorazione nel volto di quel povero che bussava. Questi pensieri mi venivano in mente quando, vedendo le immagini di quei poveri ammassati su quella barca stracolma di gente, riflettevo sulla tiepidezza del mio essere cristiano e sul pericolo di trovarmi di fronte a Gesù e alle sue parole a mani vuote: vuote di gesti concreti d’ amore nei suoi confronti e dei suoi prediletti: i poveri. Agli occhi di Dio, del Dio in cui noi cristiani crediamo, credo che sia uno scandalo che ci siano migliaia di migliaia di metri quadrati di case private e di edifici ecclesiastici inutilizzati quando tanti poveri bussano alle nostre porte. Credo che sia uno scandalo agli occhi di Dio che ci sia gente che spenda soldi per dimagrirsi e cioè per curare un alimentazione eccessiva, e persone che non hanno da mangiare. E tutto questo oltre che essere uno scandalo di fronte a Dio è anche un pericolo per le nostre vite, le nostre anime che non si salveranno senza un impegno profondo di conversione fatto di carità, penitenza economica e preghiera. Questo noi lo crediamo? A volte mi chiedo: “Ci crediamo?” Crediamo che l’incontro di Gesù nell’Eucarestia non produce effetto sulle nostre vita se non viene accompagnato da una condivisione della nostra vita con quella di chi è più povero? E cosa condividere se non soldi, tempo, energie e possedimenti? Possiamo continuare a dormire tranquilli sapendo che la nostra religione è assolutamente inequivocabile in questo senso, soprattutto considerando il periodo che stiamo vivendo? Crediamo che la causa dei mali del mondo è il nostro egoismo e che il più grande miracolo che si compie nell’Eucarestia è quello della liberazione dell’uomo dalla catena dell’egoismo che imprigiona la nostra vita?
Crediamo che per il cristiano la salvezza non si raggiunge difendendo la propria vita ma perdendola in nome di Gesù e del suo insegnamento: il Vangelo? E perdere la propria vita per Gesù non significa dare il proprio danaro, tempo, energie a chi è più povero mettendo in comune case, terreni, possedimenti e ricchezze come al tempo delle prime comunità cristiane e come leggiamo negli Atti degli Apostoli? Come recitare il Padre Nostro con i fratelli più poveri che bussano alla porta?
Oltre che rivolgerci alle Caritas, non pensiamo come credenti e come cristiani che sono le nostre case quei luoghi dove Gesù aspetta di entrare bussando alla porta con la mano dei poveri?Per questo e per questi tanti motivi a Gubbio intorno alla fine di aprile verrà aperto un negozio del commercio equo e solidale che vuole proporre momenti di riflessione per comprenedere che le cause che creano il male, il dolore e le disuguaglianze tra nord e sud del mondo sono essenzialmente cause economiche e storie di egoismi personali e comunitari.
“Oggi la salvezza è entrata a causa tua” dice Gesù a Zaccheo, ma glielo dice dopo che Zaccheo dimostra la sua disponibilità a restituire quattro volte la cifra presa ingiustamente. Mi auguro che anche noi possiamo sentirci dire da Gesù “Oggi la salvezza è entrata a casa tua” avendo detto un sì oltre le nostre forze, un sì che non avremmo mai creduto di saper dire a una situazione di povertà concreta tra le tante che bussano.

Gianluca De Gennaro



Paranormale: cosa c'è di vero?

HO LETTO PER VOI

La recente indagine della magistratura che ha condotto all’arresto di personaggi noti al pubblico televisivo, ha richiamato l’attenzione di molti sul problema del ricorso a maghi , cartomanti, sensitivi, veri o presunti,e in generale a quei metodi che vengono definiti paranormali che fanno presa su un gran numero di persone.
Si tratta, a volte, di gente disinformata, preoccupata, sofferente, perfino disperata, che si dibatte in problemi a cui non sa dare soluzione e che non trova aiuto valido vicino a sé.
Noi cristiani che posizione prendiamo? Ci interroghiamo su questo problema? Possiamo fare qualcosa?
Io credo che serva una maggiore informazione al riguardo, per cui sottopongo alla vostra attenzione questa pagina, tratta da un sito cattolico, che mi sembra di facile lettura per la sua chiarezza. Potrebbe essere l’avvio di un discorso più completo sull’argomento e, perché no?, di un dialogo con i lettori.

Continua ad aumentare in modo preoccupante l’abitudine di risolvere i problemi seri della vita facendo ricorso a maghi, cartomanti, medium, sensiti-vi, a metodi “ paranormali “.
In TV ormai, maghi e irrazionalità la fanno da padroni.
Le statistiche dicono che il 35% degli italiani crede nell’influenza degli astri e legge ogni settimana l’oroscopo; il giro d’affari dell’astrologia in Italia è sui 1200 miliardi di lire.
La rivista specializzata più diffusa arriva a tirature di 240.000 copie ed è sufficiente aprire le pagine gialle per scoprire un numero enorme di occultisti che offrono le loro prestazioni svolgendo la loro attività addirittura in tre o quattro città diverse. Fra i clienti vi sono anche gli imprenditori: secondo una ricerca, sono almeno 200 le aziende italiane che ricorrono alla consulenza del mago per sottoporgli progetti o persone a cui affidare incarichi di una certa importanza.
Cosa vuol dire para-normale?
Per fenomeni “paranormali“ si intendono quei fatti che, se accadessero realmente, contraste-rebbero con le leggi naturali.
Ad esempio la psicocinesi (presunta forza di muovere un oggetto con la sola forza del pensiero), la materializzazione o apporto (capacità di far apparire oggetti in altri luoghi o dimensioni), la chiaroveggenza del passato, del futuro, la telepatia. Fino ad oggi, dopo oltre un secolo di indagini, di osservazioni e di ricerche, non si può dire che un solo fenomeno sottoposto a studio, abbia rivelato qualcosa di paranormale e che nessun veggente , sensitivo, mago dichiarante di avere poteri paranormali, sia mai riuscito a dimostrare le proprie capacità sotto l’attento controllo di scienziati ed esperti prestigiatori.
Questi ultimi hanno un ruolo fondamentale nell’indagine del paranormale, perché, essendo del mestiere, sono in grado di assicurare precise condizioni di controllo e quindi di smascherare i trucchi dei sedicenti “ maestri “.
Allo stato attuale e fino a prova contraria, i fenomeni cosiddetti paranormali sono da considerarsi fenomeni naturali oppure truffe, trucchi o suggestioni.
Queste sono le convinzioni del CICAP (Centro Ita-liano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) al quale appartengono illustri studiosi.
Fra i “trucchi del mestiere” sono da annoverarsi anche le sottili tattiche psicologiche adottate per convincere. Perché si tende a riconoscersi negli oroscopi? Unicamente perché sono fatti con un linguaggio generico e costruiti in modo tale che almeno qualcuna delle caratteristiche indicate sembrino azzeccate e piacciano. Il ricorso a pratiche occulte, magia, spiritismo, stregoneria, proprio perché mette in discussione il primato della ragione e del buon senso nelle scelte di vita quotidiane, è segno di un profondo e serio disagio esistenziale. E’ rinuncia ad esercitare quel minimo di capacità critica e di senso della realtà di cui ogni individuo è dotato per natura.

Se poi il ricorso a queste pratiche registra la presenza di persone che si dicono cristiane, possiamo anche pensare alla personale azione del mysterium iniquitatis di cui parla San Paolo (2Tess. 2,7ss).

 


Intervista a P.Giustino (II Parte)

Questa intervista è stata fatta dall’avvocato Lamberto Padeletti, membro uscente del Consiglio Pastorale della Parrocchia di S.Agostino e missionario laico nella missione cittadina del Giubileo 2000.

D. Nel confessionale che frequenti spesso, puoi capire, meglio di chiunque altro, “la pasta” dei tuoi parrocchiani: come sono questi cattolici eugubini?

Padre Giustino CASCIANO
E’ nato il 16.05.1955 ad Agnone (IS). Ha celebrato la professione religiosa nell’ordine agostiniano a Roma l’08.12.1979 ed è stato ordinato sacerdote il 21.12.1980 nella parrocchia di S.Pietro a Terni. Per tredici anni ha fatto parte della comunità dei frati del Santuario di S.Rita a Cascia durante i quali ha svolto anche l’ìncarico di Rettore del Santuario stesso.
Dal novembre 1996 è parroco di S.Agostino di Gubbio.

R. Le confessioni vere e proprie sono molto poche; se si esclude la tradizione di confessarsi alla vigilia di Natale, di Pasqua, non credo di poter dare dal confessionale un giudizio sui cattolici eugubini. Sì, ci sono singole persone, soprattutto giovani, qualche giovane adulto che vengono a confessarsi qui in parrocchia. Mi ha colpito, in occasione delle ultime elezioni politiche, la mancanza di attenzione sia dei candidati sia degli elettori sui grandi temi della vita, dell’embrione umano; erano tutti incentrati sulle questioni locali. Mi è piaciuto, invece, l’incontro della caritas parrocchiale sul tema del dialogo con l’Islam. il Centro di aiuto alla vita ha proposto un paio di incontri sulle tematiche di cui parlavo prima, anche se la risposta della parrocchia è stata bassissima. Poi, la cena del povero organizzata dalla caritas parrocchiale su questi temi, anche se questa ennesima iniziativa ha avuto scarsissima partecipazione.
Ho la sensazione che, qui a Gubbio, si vive una fede tradizionale, molto legata alle tradizioni. Questa, da una parte, è positiva, e me lo dicono coloro che vengono da fuori, ma dall’altra parte denota una pratica di fede senza anima.
Il rosario nelle piazze, nel mese di maggio, vuole essere un avvicinare di più la gente alla devozione mariana, ancora radicata nella nostra parrocchia, per cercare di ridare slancio e contenuto alla preghiera in famiglia.

D. In questi anni hai potuto aiutare giovani e meno giovani al discernimento vocazionale. Quali sono i consigli che senti di dare ai giovani e meno giovani della parrocchia che sentono il bisogno di un dialogo con il sacerdote per essere accompagnati e guidati nella loro vita di fede?

R. Il primo consiglio che do è di non aver paura di romperci le scatole: cercateci, telefonateci, bussate alla porta del convento. Io, per quanto possibile, cerco di fare gli orari impossibili per esaudire questa richieste. Poi, un secondo consiglio è di non dimenticare che abbiamo qualche monastero di clausura come quello delle clarisse di S. Girolamo che è un bel segno nella nostra parrocchia e che va utilizzato. Abbiamo, in aggiunta, a pochi chilometri, Assisi e Spello.
Dobbiamo lavorare di più per far entrare nella vita di fede dei nostri parrocchiani gli esercizi spirituali, dobbiamo proporli, partire noi per primi.
In parrocchia, valorizzare di più l’adorazione eucaristica del primo venerdì del mese: credo che c’è grande bisogno di tutto questo. Ora abbiamo la presenza di Fr. Francesco Menichetti e Fr. Francesco Maria Giuliani, un dono inaspettato, che ci può dare più slancio e stimolo in questa direzione.
Il Papa, nella Novo millennio ineunte, ed i Vescovi, nelle linee pastorali per i prossimi dieci anni, ci chiedono di comunicare la fede con linguaggi nuovi, partendo da una più intensa vita spirituale. La parrocchia come scuola di preghiera e di comunione: questo è il futuro della parrocchia. E l’attività pastorale dovrà tener conto di questa nuova prospettiva.

D. Ti è capitato mai di consigliare, durante la direzione spirituale, a qualche giovane di abbracciare la vocazione di consacrazione a Dio?
R. Sì, ma con delicatezza: ho provato più che a dirglielo a metterlo in contatto con la parola di Dio e con qualche esperienza che gli potesse far comprendere questo, come la casa di Branca della diocesi.
Tutte queste realtà aprono la mente ed il cuore alla voce di Dio, perché il problema è far porre la domanda “ quale è la mia vocazione”. Una volta che la persona è disponibile, è il Signore che fa la chiamata. Noi dobbiamo creare le condizioni perché la persona si ponga la domanda.

D. Quali sono gli ostacoli maggiori, tra la gente, a comprendere la vera natura della chiesa? C’è un luogo comune molto diffuso “ credo a Dio ma non alla chiesa ed ai preti”.
R. Certo, questa è una domanda grande: probabilmente, dobbiamo fare più attenzione agli aspetti economici della vita della comunità cristiana. Mi fa riflettere, per esempio, il fatto che la nostra parrocchia chiede a ciascuna famiglia all’inizio dell’anno catechistico per i loro figli un contributo di L. 30.000. Molte persone percepiscono che i servizi che la parrocchia offre vengono fatti per i soldi. La nostra chiesa locale dovrebbe affrontare e, già lo fa, con più trasparenza tutta la gestione economica. Dobbiamo non solo essere ma apparire trasparenti ed, al contempo, formare il popolo spiegando che cosa è il sostentamento del clero. Auspico una chiesa che non ha paura di ricevere ed usare i soldi, una chiesa libera nell’amministrarli.
Poi, noi sacerdoti dobbiamo essere più vicini alla gente. Quando in una famiglia c’è un dolore, una malattia, un funerale, è molto importante cercare di essere vicini umanamente. Noi sacerdoti veniamo percepiti ancora troppo come poco caritatevoli, poco umani.

D. Che contributo ha dato alla parrocchia, in questi cinque anni, la tua comunità religiosa?
R.Nel venire qui a Gubbio, mi sono imposto di andare d’accordo con gli altri frati della comunità religiosa; un obbiettivo che ho perseguito in modo tenace. Però, allo stesso tempo, avevo il desiderio di un maggior coinvolgimento della comunità religiosa nella vita della parrocchia. Essere tre frati sacerdoti è una vera ricchezza, per esempio per le confessioni, la benedizione delle famiglie, il servizio ai malati. Nonostante i limiti della salute e dell’età la comunità religiosa è senz’altro positiva per la vita della parrocchia. Gli agostiniani ci mettono a disposizione gratuitamente le aule catechistiche, la sala S.Agostino, gli uffici parrocchiali e di questo dobbiamo manifestare gratitudine.
E’ necessario, però,che la comunità religiosa sia aperta alle esigenze della parrocchia.
Per il futuro, auguro una comunità religiosa che esprima qualcosa di più nel campo della spiritualità, della preghiera e dell’evangelizzazione.
Noi, agostiniani in Italia, non dobbiamo avere molte parrocchie, ma quelle poche che abbiamo, dobbiamo servirle utilizzando di più la nostra spiritualità.

D. In che consiste la spiritualità agostiniana?
R. Nella comunione fraterna, nel cercare insieme la volontà di Dio. È un libro, la parola di Dio, che tocca, ferisce l’intimo della persona e conduce a formare la Chiesa, come un unico cuore. Noi agostiniani la Bibbia la dovremmo sbriciolare all’interno della parrocchia, dei gruppi. Dovremmo privilegiare un’ evangelizzazione fondata sulla conoscenza della Parola di Dio e sulla meditazione della stessa. Questa è la peculiarità che una comunità religiosa agostiniana dovrebbe portare in una parrocchia. Poi, voglio dire anche questo: le comunità religiose agostiniane si devono aprire alle necessità del mondo ed ai poveri. Un esempio: quando è scoppiata la guerra nel Kossovo c’era l’emergenza di accogliere le famiglie fuggite dalla guerra. Noi frati di Gubbio abbiamo detto: c’è una famiglia da accogliere, utilizziamo la foresteria per l’accoglienza temporanea di questa famiglia. E’ stata un’esperienza molto feconda per noi frati e per la comunità parrocchiale. I conventi agostiniani legati ad una parrocchia, come questo di Gubbio, dovrebbero attrezzare una parte, anche piccola, della struttura all’accoglienza dei poveri in maniera stabile. Secondo me, questo ci inserisce di più nelle dinamiche della storia. Nei nostri conventi ci dovrebbe essere una sorta di “pronto soccorso spirituale ed umano”, attrezzato per le emergenze.

D.Ultima domanda :che cosa Ti auguri per questa parrocchia?
R. Uno sviluppo ulteriore della carità. In parrocchia mi auguro che non ci sia razzismo, che i parrocchiani siano in grado di accogliere il diverso. Una carità che è attenzione ai segni dei tempi. Carità anche fra di noi, per cui schiettezza di rapporti con il parroco. Carità che è anche attenzione agli anziani soli. C’è già, ma va incrementata. L’astenotrofio Mosca, istituzione benemerita, dovrebbe essere un po’ meno pieno. Mi auguro una crescita della parrocchia come scuola di preghiera e scuola di comunione per tutte le famiglie della comunità
.


Viaggiare: uniersità della vita

Consueto appuntamento per gli amanti dei viaggi che questa volta però non vi porterà in nessun paese esotico infatti, ho deciso in questo numero, di proporre alcune riflessioni partendo da questo passo de “Le anime morte” di Nikolaj Gogol:
Cicikov ebbe il piacere di gustare quei gradevoli momenti, noti a ogni viaggiatore, quando nella valigia è tutto a posto, e buttati la per la stanza ci sono soltanto cordini, pezzi di carta e rifiuti vari.
In fondo una vacanza è un’interruzione delle normali attività lavorative e della quotidiana e abitudinaria frenesia che normalmente l’accompagna. In questo periodo, in cui il tempo ci viene dato con più abbondanza, molti preferiscono oziare o quantomeno rilassarsi, altri, invece, come il sottoscritto optano per un’avventura in terre lontane all’altro capo del mondo; ma questo non fa la vera differenza: ciò che conta è indirizzare il tempo delle scelte verso qualche cosa che diventi esperienza, con un cammino che ti arricchisca interiormente, che sfoci in un’attenzione più grande verso gli altri, tutto il contrario della spensieratezza frivola che anima normalmente le nostre vacanze.
Il vivere, seppur per brevi periodi, con spirito d’avventura, non significa giocare agli esploratori o intraprendere imprese straordinarie, ma semplicemente, lasciare alle spalle le proprie abitudini, vivere ogni momento in modo attivo, essere curiosi, andare incontro alle altre culture con rispetto e discrezione, percorrere spazi dove la natura difende il suo privilegio di restare selvaggia sforzandosi di rispettare la sua integrità.
Scegliere un viaggio attraverso mete poco turistiche può sembrare una scelta masochistica di chi vuol far soffrire gratuitamente il proprio corpo o, ancor peggio, una scelta di chi vuol vivere momenti da macho. Invece la ricerca di questi luoghi estremi del nostro pianeta, siano essi deserto, distesa di ghiacci, o ripidi pendii, è data dalla necessità di abbandonare per un pò la nostra “civiltà” per essere stimolati a crescere dalle necessità e dagli intralci del vivere che ci troviamo di fronte, non dimenticandoci mai che la maggior parte dei popoli della terra, vive giornalmente situazioni molto critiche e che per loro la vita non concede vacanze e la stessa quotidianità diventa ogni giorno un viaggio tra mille avversità.
Comunque quello che mi ha più colpito in tutti i viaggi fatti e nei vari paesi visitati è la gentile curiosità delle persone incontrate. Timidamente si avvicinano e sempre sorridendo ti pongono infinite domande, sul tuo paese, sul tuo lavoro, su come si vive dall’altra parte del globo. Quello che spero di essere riuscito a testimoniare con i miei interventi è questa ricerca di scambio, questo ponte tra culture diverse che necessitano l’una dell’altra per poter vivere e svilupparsi senza supremazie e senza prevaricazioni.
Quindi per concludere non bisogna dimenticarci che viaggiare ci aiuta ad essere migliori.

Raoul Caldarelli



Dal Consiglio Pastorale

Lettera al Consiglio Comunale di Gubbio

Al Sig. Presidente del
CONSIGLIO COMUNALE di GUBBIO
e p.c. A S.E. Mons. Pietro Bottaccioli
VESCOVO DI GUBBIO
Agli Organi di Stampa

OGGETTO: Ordine del giorno del Consiglio Pastorale Parrocchiale

Il Consiglio Pastorale Parrocchiale di S. Agostino di Gubbio, nella riunione del 12 aprile u.s., ha votato all’unanimità il seguente ordine del giorno:

Il Consiglio Pastorale Parrocchiale di S. Agostino intende esprimere la propria disapprovazione sulla costituzione del registro per la formalizzazione delle coppie di fatto, deliberata dalla maggioranza del Consiglio Comunale.
Come cristiani, come cittadini, come membri di uno Stato di diritto, non possiamo in alcun modo accettare tale iniziativa, contraria all’insegnamento della Chiesa ed alle leggi che riconoscono esclusivamente la famiglia fondata sul matrimonio come cellula base e fondamentale della società civile.
Manifestiamo nel contempo piena solidarietà a S.E. Mons. Vescovo, fatto oggetto a più riprese di critiche ingiuste ed irriverentemente esortato a contravvenire, con il silenzio, al suo preciso diritto - dovere di guidare pastoralmente la comunità a lui affidata. Esprimiamo, anzi, a Lui gratitudine per la coerenza mostrata anche in questa occasione.


Gubbio, 12 aprile 2002
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale
di S. Agostino - Gubbio



Che bella esperienza !!!

Eh sì...è stata proprio una bella esperienza e non è ancora finita!!!
I nostri incontri di catechesi in preparazione alla Cresima sono iniziati in ottobre già con una sfida: la quotidianità!
I nostri ragazzi hanno scelto Gesù, hanno detto il loro primo “CREDO!” all’inizio del cammino di catechesi, quando i loro impegni scolastici e sportivi sembravano lasciare spazio solo alla stanchezza.
Fra Francesco Maria e noi catechiste: Francesca, Lucia, Simonetta ed io abbiamo dato la nostra adesione alla proposta di fare catechismo il venerdì sera dopo cena dalle 20:30 alle 21:30: erano orario e giorno compatibili con tutti gli impegni extra scolastici dei nostri ragazzi.
Attenzione: è stata una scelta dettata dalla voglia di essere sempre presenti al catechismo, di evitare inutili assenze. E’ stata una scelta dettata dal desiderio di andare incontro ad ognuno, proprio come ci insegna la parabola della pecorella smarrita.
L’impegno di tanti anni di noi catechiste è stato ripagato. L’impegno delle signorine e dei giovanotti a noi affidati ha dato il suo frutto in ogni incontro organizzato con loro; ne è testimone l’assidua frequenza dei ragazzi alle domeniche di ritiro, la stanchezza e la voglia di ricominciare ancora una volta, un’altra giornata!
In queste domeniche abbiamo trattato tre temi: mettersi in gioco per gli altri, vivere la vita fino in fondo proprio come aveva fatto il pallone rosso; rispondere a Dio, aderire a Lui, scerglierlo come avevano fatto i personaggi più umili del nostro presepe e coglierne il significato; l’amore per noi stessi, per come Dio ci ha creati, l’amore per gli altri, per come Dio li ha voluti, come ci ha insegnato il nostro giovane pittore...
Abbiamo proposto delle letture, delle schede e ne sono scaturiti dibattiti, scambi di opinioni e battibecchi! Costruttivi, s’intende!
Negli ordinari incontri di catechesi abbiamo affrontato tematiche impegnative come le Beatitudini, misteriosi come la fede, fonda-mentali come il nostro rapporto con Dio, delicati come l’innamo-ramento. Su questo argomento abbiamo chi-esto l’intervento di una giovane coppia di sposi, Gianluca ed Anna, che con trasparenza ci hanno parlato di come vivere ben l’amore.
Un altro momento importante lo abbiamo vissuto a Roma durante l’Udienza del Papa...è stata un’esperienza forte che ci ha toccati dentro; è stato piacevole anche perché abbiamo avuto l’occasione di conoscere meglio i genitori dei nostri ragazzi e di farci conoscere noi da loro.
Ora ai cresimandi si pone una domanda: “che farò dopo la Cresima?”
Ebbene la Parrocchia ha bisogno di giovani volenterosi perché c’è da dare una mano ai catechisti con i bambini delle elementari che iniziano il catechismo tra poco, c’è il dopo-cresima con tante iniziative ed attività che aspettano solo di essere avviate...quante cose!!!
Posso sinceramente dire che è stato un impegno, un lungo cammino di fede, una crescita, una conferma, una scoperta, una gioia; è stata....CRESIMA!!!!

MICHELA BICCHERI



Il coraggio della speranza

Nella sua dimensione di volontariato portato ad essere vicino a quelle “povertà” che non sempre hanno una soluzione od uno sbocco di natura economica, la Caritas parrocchiale si è data una articolazione che le consente di confrontarsi con qualcuna delle tante emergenze “silenziose” che la società oggi propone. In questa prospettiva rientra l’impegno di garantire, nei giorni festivi, un servizio liturgico presso l’Astenotrofio Mosca, il benemerito istituto che nel cuore del centro storico ospita una novantina di persone, molte delle quali non più autosufficienti. Una presenza che gratifica, un’esperienza che merita di essere vissuta. Non impegna molto, sotto il profilo temporale: la presenza alla Santa Messa, le letture, la preghiera dei fedeli, i canti, qualche volta un aiuto per consentire agli ospiti il ritorno nelle proprie camere.

E’ importante però per i meccanismi che innesta: è una testimonianza di solidarietà, è un cordone ombelicale con l’esterno, è un’occasione per contraddire la dimensione di “emarginazione” e di “parcheggio” che a volte il concetto di “astenotrofio” si porta dietro, E’ un modo per instaurare amicizie, per scambiare qualche parola al di fuori del consueto circolo proprio intorno a quella “mensa” che ricorda e sublima il dono della propria vita che Qualcuno ha fatto per noi. E’ un modo per dire grazie a quanti, come le suore ed il personale, testimoniano quotidianamente solidarietà ed amore.

RITA MARIUCCI
MAURIZIO MUZZINI


Un salto in biblioteca


Padre Puglisi è stato ucciso a Palermo la sera del 15 settembre 1993 di fronte alla porta di casa, un solo colpo di pistola, alla nuca, senza testimoni.
Chi era e soprattutto casa aveva fatto quel piccolo prete per costringere la mafia a decretare una così spietata esecuzione?
Padre Puglisi era un prete normale, un pastore che svolgeva il suo apostolato senza clamori e che rideva quando si parlava della sua Brancaccio come di una parrocchia antimafia.
La mafia lo aveva condannato a morte perché aveva osato ripristinare la normalità, perché nel suo quartiere voleva una scuola media, una biblioteca, un asilo, perché con la sua infaticabile azione pastorale e pedagogica strappava sempre più bambini , adolescenti, giovani dalla palude senza fondo dell’illegalità.
Era un uomo di grande speranza , consapevole del fatto che o la speranza ci aiuta a cambiare il nostro tempo o non può dirsi tale.
Egli ci invita ad uscire dalle nostre nicchie protette per educarci al confronto con la storia, con il tempo, con le istituzioni e con tutti gli uomini nessuno escluso.
Egli ci chiede di imparare ad abitare con coraggio e lungimiranza nei luoghi in cui viviamo. Per tanti, per troppi il territorio finisce dove termina il muro di casa, il recinto del giardino; oltre quel confine cessa ogni interesse e l’unica preoccupazione diventa quella degli “elementi diversi” che minacciano la tranquillità del quartiere e del paese.
L’esempio di Padre Puglisi ci ricorda che tanto più la comunità cristiana vive giustizia e solidarietà tanto più la celebrazione dei sacramenti è vera e viva e che la pastorale dell’accoglienza non può non saldarsi con il dovere della denuncia e con il coraggio dell’andare dove la dignità dell’uomo è più calpestata.
Per saperne di più basta leggere il bel libro di Francesco Preziosi dal titolo “ Don Puglisi, vita del prete palermitano ucciso dalla mafia” edito da Mondadori.
Buona lettura

Tonino Fagiani



Una giornata da non dimenticare


La nostra gita a Bolsena, le nostre emozioni, e il nostro cammino verso Gesù

Fare catechismo è bello, anche quando si fa la tradizionale gita a Bolsena: per noi ragazzi della Prima Comunione è un gesto importante perché si va a vedere il “miracolo eucaristico”. Siamo partiti alle sei per arrivare a Bolsena verso le 9. Il viaggio non è stato noioso: dopo una preghiera per salutare il nuovo giorno abbiamo cantato e scherzato tutti insieme. A Bolsena ci attendevano il parroco e i ragazzi di questa città, con i quali abbiamo partecipato alla Santa Messa. La chiesa è dedicata a Santa Cristina che è una martire bambina perseguitata dal padre perché era cristiana. In questa chiesa avvenne un miracolo straordinario. Il sacerdote Pietro da Praga, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a celebrare la Messa sull’altare dedicato a Santa Cristina. Questo sacerdote aveva un grosso dubbio: “C’è veramente Gesù nell’ostia consacrata?”. E’ successo che, mentre consacrava l’ostia, spezzandola, uscì del sangue che bagnò il corporale, l’altare e le pietre del pavimento. Questo è un miracolo che è passato alla storia perché dopo di esso il Papa Urbano IV istituì la festa del Corpus Domini. Alla fine della messa siamo usciti sul piazzale della Chiesa a giocare con i catechisti finche ci hanno chiamato per visitare le catacombe. Padre Tonino (di Bolsena) ha descritto a noi bambini questo luogo di sepoltura antichissimo. La cosa che ci ha colpito di più è stato il sarcofago di Santa Cristina contenente un’urna dove erano conservate le sue ossa. Il pranzo al sacco lo abbiamo consumato vicino al lago. Offrivano gelati gratis: miracolo di Padre Giustino! I genitori hanno familiarizzato tra loro e con i nostri catechisti: è stato bello vederli sereni e divertiti, chissà se grazie a noi nasceranno nuove amicizie!. Non abbiamo rinunciato a giocare: fazzoletto con spettacolari balzi di Padre Giustino e divertenti guizzi dei nostri genitori! Non poteva mancare la corsa dei cavalli condotta da Andrea Frati, diventata simbolo di una strada percorsa lietamente insieme, superando ostacoli e difficoltà per uno scopo vittorioso! Verso le 14e30 siamo ripartiti per Orvieto per andare a visitare il duomo. La guida ci ha spiegato la storia di questa chiesa e poi abbiamo pregato nella Cappella del Corporale. Verso le 19 ci siamo diretti sulla via del ritorno.
Siamo tornati a casa stanchi, ma felici di aver fatto questo pellegrinaggio in un luogo dove Cristo si è manifestato, perché in occasione della nostra Prima Comunione sia sempre presente in noi la certezza che Lui è compagno della nostra vita.

Paolo, Ludovico e i ragazzi della Prima Comunione.