In questo numero
Dicembre 2002

Alt e stop
Protagonisti del Natale
Dai Pappagalli verdi
Intervista a F.Francesco Maria Giuliani
Arrivederci a Colonia

Pratiche scaramantiche e altro
Adelaide e Tommaso
Terremoto e pubblicità
A Pio
Scout: questi sconosciuti
Il vacanziere
Lettera ai Cardinali

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Alla fine il gruppo redazionale ha deciso che con questo numero dieci si conclude il viaggio che per cinque anni ha portato avanti l’esperienza del giornalino parrocchiale “Quattro Chiacchiere”. Il titolo doveva essere provvisorio, invece è rimasto fino ad oggi.
Cinque anni fa il Consiglio Pastorale di allora, tra le varie iniziative, propose di fare un giornalino parrocchiale e, dato che per questo incarico nessuno si faceva avanti, mi presi questa responsabilità. L’idea era di fare del giornalino non il solito bollettino parrocchiale, ma un ideale punto di incontro, dove portare esperienze, progetti,…
Un giornalino come mezzo per confrontarsi e dialogare al di là anche del puro e semplice aspetto religioso, cercando di toccare anche problematiche sociali e comunque della nostra vasta e popolosa zona. Dopo cinque anni e nove numeri dobbiamo ammettere, purtroppo, che non ci siamo riusciti. Il nostro scopo non è stato raggiunto.
Abbiamo ben capito che, noi del giornalino, siamo un piccolo gruppo che non è riuscito a collegarsi e a dialogare con il resto della nostra comunità. Probabilmente per nostra colpa. E’ per questo motivo che, dopo cinque anni, questa esperienza è giusto che si concluda per dare spazio ad altri che certamente meglio di noi riusciranno a fare un nuovo giornalino.
Prima di concludere, comunque, voglio ringraziare attraverso queste poche righe, per l’arricchimento che mi hanno dato con il loro esempio e le loro riflessioni:
Pietro Panfili (il Maestro), Federica Grandis (la Chica), Federico Venerucci (il Chico), Raoul Caldarelli. Con loro ho condiviso l’impegno a costruire un giornalino che fosse il segno di qualcosa.
Noi ci abbiamo provato.
Auguriamo al prossimo gruppo redazionale ogni bene e successo.


Gianni Vantaggi


Protagonisti del Natale


Questo numero del giornalino parrocchiale entra nella vostra casa pochi giorni prima del Natale; forse, lo spero vivamente, lo leggerete. Prima di tutto buon Natale. Qualsiasi situazione personale e familiare ci troviamo a vivere, anche la più sofferta, è festa. Il Figlio di Dio è uno di noi; nella storia umana si è verificato un evento inimmaginabile: Dio è nato da una donna e la sua famiglia è così povera che la nascita avviene in una grotta; Dio-Bambino viene messo a dormire tra il fieno e la paglia in una greppia dove mangiano gli animali.
In questo periodo nelle chiese come nelle case, nei negozi come all’aperto questo evento viene raffigurato in presepi di ogni forma e dimensione. E’ proprio una cosa bella. Al centro c’è Gesù Bambino e vicino ci sono Maria e Giuseppe e poi attorno tutta una serie di protagonisti: gli angeli, i pastori con le pecorelle, il bue e l’asino, le casalinghe e i re magi...
Ti auguro di essere protagonista del Natale. Permetti allo stupore e alla gioia di invadere il tuo animo. Sì per essere anche noi parte del presepe prima di tutto accogliamo quanto l’amore di Dio ha voluto realizzare; lasciati raggiungere dalla buona notizia: Dio ama il mondo, Dio ama proprio te, ecco perchè nasce. E’ Emmanuele, Dio-con-noi, per donare amore e ricevere amore.
Ti auguro di essere protagonista del Natale con l’invito  di Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica sulla preghiera del Rosario. “Le difficoltà che l’orizzonte mondiale presenta in questo avvio di nuovo millennio ci inducono a pensare che solo un intervento dall’Alto... può far sperare in un futuro meno oscuro...Chi assimila il mistero di Cristo apprende il segreto della pace e ne fa un progetto di vita...Come si potrebbe fissare il mistero del Bimbo nato a Betlemme senza provare il desiderio di accogliere, difendere e promuovere la vita, facendosi carico della sofferenza dei bambini in tutte le parti del mondo?”
Ti auguro di essere protagonista del Natale con la pace nel tuo cuore e nella tua casa e con la preghiera in famiglia e per la famiglia.
L’appello del nostro anziano Papa è urgente: “Bisogna tornare a pregare in famiglia e a pregare per le famiglie...La famiglia che prega unita resta unita...La famiglia che recita insieme il Rosario riproduce un pò il clima della casa di Nazareth: si pone Gesù al centro, si condividono con lui gioie e dolori, si mettono nelle sue mani bisogni e progetti, si attingono da lui la speranza e la forza per il cammino”
Buon Natale da protagonista come credente e costruttore di pace.

Padre Giustino Casciano


Dai "Pappagalli verdi"

Con questa rubrica riporterò nei prossimi numeri del giornale i racconti più significativi tratti dal libro “Pappagalli verdi” di Gino Strada, personaggio ormai conosciuto e legato all’associazione da lui fondata di Emergency. Il libro è profondamente autobiografico, una raccolta di pensieri e di esperienze che questo medico ha fatto negli ultimi anni: la fatica, la paura, lo sconforto, le gioie, le soddisfazioni, i rimpianti. Questo primo racconto è una sorta di autopresentazione di Strada, che definisce il suo ruolo anche di fronte alle numerose perplessità che questo tipo di attività suscita in molte parti della società: il chirurgo di guerra. Nei prossimi numeri cercherò di riportare le parti più significative di questa sorta di diario, quelle che più dipingono fedelmente la realtà scomoda e ignorata dai più della guerra e dei suoi effetti sui civili.
Buona Lettura

Da “Pappagalli verdi” di Gino Strada
“Chirurgo di guerra? E che vuol dire?” è la domanda inevitabile che mi viene fatta da molti. E allora comincio con lo spiegare che faccio sì il chirurgo, ma che non sono un militare, chè anzi li detesto, e che non sono neppure al loro servizio.
Il mio mestiere può sembrare insolito. Ma parlando di quel che succede in giro per il mondo, e che riempie comunque buona parte dei giornali e dei tiggì, si riesce il più delle volte a far capire che non è poi così strampalato, o quantomeno che serve a qualcosa, vista la quantità di guerre grandi e piccole che ogni anno funestano il pianeta, e la quantità di poveri disgraziati che ci vanno in mezzo.
E’ a questo punto che, normalmente, arriva il domandone: “SI, va bene, c’è bisogno. Ma tu perché lo fai?”.
La cosa curiosa è che, dieci anni dopo, ancora non lo so con precisione.
C’è chi invece come i miei amici più cari, non ha dubbi di sorta sulle ragioni delle mie scelte: è semplice – dicono – quello è matto. E poi attaccano la lista delle supposte dimostrazioni. Le loro argomentazioni non mi sono mai sembrate, però, molto convincenti, non fosse altro perché non tutti i matti, posto che esistano davvero, fanno il mio mestiere.
E ben conoscendo i miei amici, so benissimo che tra loro “normali” alberga chi faceva l’autostop al casello della Milano-Venezia con un cartello con la scritta “Polo Nord”, e chi ha fabbricato “divani a erba” (per capirci, schienale in cuoio e sedie in prato inglese!) e righelli storti.
C’è poi, tra loro, chi da sempre passa le notti a leggere di filosofia e friggere patatine, per dormire poi quando il mondo si sveglia, e chi sta cercando invano da quindici anni di barattare cinque arnie per le api con una piccola barca a vela…
Così non mi sono mai preoccupato molto, se quelli ritengono che io sia un po’ strano.
Però, a furia di sentirsi far domande e di ricevere salaci sfottò, va a finire che uno inizia davvero a cercare delle risposte.
Questo mestiere mi piace, anzi non riesco a immaginarne un altro che possa piacermi di più. Potrei perfino dire che mi diverte, se non rischiasse di suonare offensivo per tutti quegli sfortunati cui tocca di avere a che fare con il mio lavoro. Mi piace trovarmi spesso di fronte a nuove difficoltà, a problemi inaspettati, mi piace lavorare in condizioni e situazioni così diverse, spesso complesse e anche rischiose, ma sempre stimolanti.
In fondo, ma non vorrei essere frainteso o accusato di snobbismo, è un gioco. Nel senso più vero. Come gli scacchi o il bridge. Attività libere, non condizionate, senza secondi fini, che si praticano solo perché piacciono. E perché piace vincere, come mi piace vincere nel mio lavoro. Dimostrare che si può fare, che si può riuscire in qualcosa di utile anche quando sembra impossibile, quando le porte sembrano tutte chiuse.
Accettare la sfida, misurarsi con le difficoltà.
Ma è una sfida particolare, in qualche modo diversa dal raggiungere in bicicletta il Polo Nord. Perché riguarda molti, perché sono in tanti a vincere, quando si vince, e perché è importante che questo gioco continui, che dopo una gara ne cominci un’altra.
Serve che ci sia, questa sfida. Perché nei luoghi di guerra dove andiamo a lavorare non ci sono alternative.
Si parla tanto di “diritti umani”. E quel diritto elementare di essere curati quando si è feriti o malati, che viene calpestato con regolarità impressionante?
Può capitare anche nell’evoluta Europa, beninteso, e capita. Ma nei teatri di guerra del mondo è una regola costante. Non ci sono medici né medicine, e il poco disponibile è riservato in modo esclusivo a militari e combattenti.
Per centinaia di migliaia di donne e bambini non resta nulla, con buona pace delle tante agenzie “umanitarie” dell’Onu che foraggiano i governi responsabili di quelle politiche.
Quel che facciamo, noi e tanti altri, quel che possiamo fare con le nostre forze e risorse limitate, è forse meno di una gocciolina nell’oceano, come si usa dire.
Lo sappiamo bene, ci è davanti agli occhi ogni giorno l’inadeguatezza delle nostre azioni, l’enorme sproporzione rispetto ai bisogni.
Spesso ci sentiamo depressi e frustrati, qualche volta abbiamo voglia di pianare tutto. Ma poi basta poco per riprendere, una stretta di mano, una madre che ritrova il sorriso, un bambino che riprende a giocare, o più semplicemente perché ci sentiamo stanchi la sera ma convinti che il giorno non sia passato inutilmente.
Sentirsi in pace?Forse.
Ma ne ho sentiti tanti, troppe volte, di censori che puntano il dito contro chi fa qualcosa “solo per lavarsi la coscienza”, del tutto indifferenti al fatto che la loro, di coscienza, continua a puzzare lontano un miglio e non viene lavata da lustri.
Resto dell’idea che è meglio che ci sia, quella gocciolina, che se non ci fosse sarebbe peggio, non solo per me.
Tutto qui.
Nessuna liturgia né retorica, niente significati trascendenti e universali. Non servono, non c’entrano, possono perfino essere dannosi. Questo deve restare un mestiere, anzi deve cominciare, finalmente, a diventare un mestiere, una professione. Il chirurgo di guerra come il pompiere, il vigile, il fornaio.
Perché solo se diventa un mestiere, lavoro, occupazione permanente, può acquistare dignità, guadagnare in competenza, diventare intervento di qualità, essere professionale.
La chirurgia di guerra non è terreno di avventura o improvvisazione. Qui non basta la voglia, splendida e generosa, di essere utili, per essere utili davvero.
E’ un lavoro faticoso, quello del chirurgo di guerra, da imparare sul campo giorno per giorno, esercitando l’umiltà di ascoltare e la disponibilità a non avere certezze.

EMERGENCY
Via Bautta 12 – 20121 Milano
Tel. 20/76001104 – fax 02/76003719

E-mail: emergenc@tin.it
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Le donazioni a sostegno dei Centri Chirurgici e di Riabilitazione posso essere fatte tramite
- c/c postale intestato a
EMERGENCY n. 28426203
- c/c bancario intestato a
EMERGENCY n, 713558
CAB 01600 ABI 5387
C/o Banca Popolare dell’Emilia Romagna,
via Mengoni 2- Milano

Gino Strada è chirurgo di guerra e uno dei fondatori di Emergency, l’associazione umanitaria italiana per la cura e la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo. Da oltre dieci anni è impegnato in prima linea: ha lavorato in Afghanistan, Perù, Bosnia, Gibuti, Somalia, Etiopia e, più di recente, nel Kurdistan iracheno e in Cambogia. Pappagalli verdi ha vinto il premio internazionale “Viareggio Versilia 1999”. Ma è anche, per me, un grande privilegio. Ricevo uno stipendio per fare il lavoro più bello, quello che ho sempre sognato di poter fare, anche gratis.”


Intervista a F. Francesco Maria Giuliani

Questa intervista è stata fatta da Lamberto Padeletti, membro uscente del Consiglio Pastorale della Parrocchia di S.Agostino e missionario laico nella missione cittadina del Giubileo 2000.

D. Com’è avvenuta la tua conversione e quali sono stati i segni attraverso i quali Dio ti ha fatto comprendere la tua vocazione religiosa?

R. Direi innanzitutto che la storia di una vocazione, qualunque essa sia, è una storia complessa e allo stesso tempo estremamente semplice. Voglio dire che molte volte ho cercato di raccontare la mia chiamata e sempre sentivo che le parole non esprimevano bene l’accaduto, che non riuscivo a rendere l’idea di quel che veramente si prova interiormente. Mi sono convinto dunque che un racconto non può esaurire una storia che Dio conduce con una persona perché quella storia è fatta di infiniti momenti che via via si assemblano, prendono forma… e viene un momento in cui te ne accorgi! In altre parole, una vocazione non è un certo evento straordinario, ma è la percezione nuova di vedere le cose con occhi diversi, a cominciare da te stesso, dalla tua vita: è sempre la stessa vita, eppure la vedi totalmente nuova; per te assumono importanza altre cose che prima trascuravi ed altre che ti sembravano irrinunciabili perdono valore.
Io ho sempre vissuto all’ombra della parrocchia, specie da quando, dopo la morte di mio padre, avvenuta quando avevo tredici anni, ho trovato grande consolazione nel gruppo giovanile parrocchiale che si andava costituendo. Dopo qualche anno il desiderio si è affievolito e pian piano smisi di frequentare. Un giorno mi incontrò uno degli animatori per strada; lui era in macchina e la fermò tipo “posto di blocco”, scese e mi disse: «stasera abbiamo la riunione e tu vieni!». Per me fu fondamentale. Lo racconto anche perché sia di stimolo ai nostri animatori: fate vedere che ci tenete ai ragazzi, cercateli!
Continuai a frequentare, ma sempre da laico convinto e convinto di sposarmi un giorno; intanto accanto al valore dell’amore di coppia cresceva per me anche il valore dell’amicizia… niente affatto minore ma anch’essa amore vero e disinteressato… partecipai a diversi incontri estivi, sempre più gratificanti ed importanti per la mia vita e per quella di chi mi era amico: stavamo crescendo insieme e ci iniziavamo a chiedere cosa il Signore volesse da ciascuno di noi. Una strada poteva anche essere questa che ho preso, l’importante era non opporre pregiudizi, convinti che, se il Signore ha in progetto una certa scelta per qualcuno, quella sarà per lui la sua felicità, non certo la sua condanna!!!
Provai a fare qualche giorno di esperienza in convento: andai a Pavia, dov’era anche Chico (fr. Francesco Menichetti) e lì mi decisi non ad entrare, ma a provarci sul serio, con un anno di pre–noviziato. Da allora ho trovato la mia via!

D. Qual’è il carisma agostiniano?

R. La domanda è una buona prosecuzione della precedente! In effetti, una volta percepito il desiderio di provare ad entrare in convento, viene il problema di quale ordine scegliere. Io conoscevo questo e mi dissi: «non sarà un caso! Proviamo prima con questi!». Ho scoperto un ordine che, senza neppure saperlo, corrispondeva alle mie aspirazioni più profonde (almeno nelle intenzioni, se non nell’applicazione della vita quotidiana!). L’Ordine Agostiniano ha un carisma basato su due valori che sembrano opposti: interiorità e comunione! Come conciliarli?
Standoci dentro, ho capito che si tratta del cuore della vita, del vero segreto della pace interiore. Il fine di ogni uomo è la felicità e questa non sarà mai da solo, ma sempre solo nella comunione (cioè nell’amore). Comunione però non significa semplicemente “stare insieme”: convivere, chiacchierare, avere gli stessi gusti, condividere esperienze o qualunque cosa di simile… significa invece comunicarsi il cuore, trasmettersi l’anima. Per fare vera comunione è necessario conoscersi veramente a fondo, avere una robusta vita interiore per saper scendere dentro se stessi, pescare il proprio cuore, il proprio centro vitale più intimo per poterlo conoscere e donarlo a chi si ama, al confratello come al prossimo.
Infine, ovviamente, è necessario un riferimento oggettivo, cioè stabile, immutabile, eterno: per essere felici serve la garanzia di una condizione non precaria, perché senza la certezza della durata ogni felicità è già intaccata, è già segnata dall’insicurezza e dunque dalla paura. Insomma, serve Dio! Comunione ed interiorità, perciò, fondate su Dio e protese verso di Lui. Volersi bene in Dio che pone il sigillo dell’eternità e della pienezza sul nostro amore, di per sé fallace.
Ecco allora il carisma agostiniano: vivere insieme per scoprire e trasmettersi reciprocamente Dio che abita dentro ogni uomo. Essere cioè «un cuor solo, un’anima sola, protesi verso Dio».

D.Qual’è, secondo te, il segno distintivo del cattolico?

R. Oserei dire tutti e nessuno. Non ci deve essere a mio avviso “un segno” distintivo, perché in effetti il cristiano non deve essere una persona “anormale”, particolare… come dire: il cristiano deve essere nient’altro che uomo, nel vero e pieno senso del termine. Deve puntare ad essere l’uomo perfetto e non qualcosa d’altro, come Gesù era l’uomo tipo, l’essere umano perfettamente realizzato; come Maria, che S. Agostino definisce brillantemente «dignità della terra» cioè vanto del genere umano.
Non dunque un segno distintivo, ma un’intera vita distinta dalla massa della mediocrità che continuamente filtra dalle porte dell’anima per cercare di allagare lo spirito. Nessun altro segno che l’amore messo in tutto quello che fa!
C’è una bella pagina della prima era cristiana che definisce i cristiani nel mondo come l’anima nel corpo: non la vedi, non la estrai, ma sai che è ciò che dà vita al corpo. Il cristiano non deve costituire “un mondo a sé” ma essere l’anima del mondo! Amare il mondo e cercare di vitalizzarne le tante zone morte, incancrenite che il mondo si trascina dentro. Un po’ come una cellula staminale, credo, il cristiano non deve avere un ruolo specifico e separato ma saper portare la sua carica d’amore nella situazione in cui si trova.

D. Un cristiano può essere ricco?

R. Beh, da quello che ho detto direi che non lo si può escludere! Anzi, sono contento della domanda perché particolarmente qui a Gubbio mi sono trovato a discorrere spesso di quest’argomento. Più volte mi hanno detto: «voi preti (anche se io non ne faccio parte!) predicate tante cose dal pulpito sulla povertà e poi…». Ebbene, non nego affatto che la povertà sia un valore fondamentale che il cristiano deve perseguire sulle orme di Cristo, però vorrei far notare che forse non sempre si intende la stessa cosa. Un conto è la povertà evangelica, la povertà in spirito, altro è l’indigenza. Sono convinto che spesso dal pulpito (che non si usa più!) viene predicato il distacco dai beni, ma non viene predicata invece la povertà materiale se non in casi limitati e specifici, con i dovuti “distinguo”.
So di addentrarmi in un discorso scabroso e non vorrei dar l’impressione di discolparmi, perché ammetto e ribadisco qui che certamente preti e frati non sono immacolati nel loro tenore di vita e potrebbero (come d’altronde chiunque sia cristiano!) cercare di dare di più. Solo, quel che mi preme è specificare che non è questo l’essenziale per una vita cristiana. Si può essere ricchi e generosi (e dunque in linea con il vangelo) oppure poveri ma attaccati al poco che si possiede. Il discorso è certamente lungo e complesso, ma quando Gesù ha detto: «è più facile che un cammello (o una corda) passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli» lo ha detto facendo capire che parlava di una radicalità tale da coinvolgere non solo i ricchi materiali ma tutti, tanto che la reazione dei discepoli fu decisamente di grande timore: «e dunque chi mai potrà salvarsi?» perché capirono che in quel “ricchi” siamo compresi tutti, che ci sentiamo comunque ricchi di noi stessi. «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio» fu la risposta. Dunque, ricchi e poveri, indistintamente, possono salvarsi solo grazie all’aiuto della misericordia di Dio!

D. Che cosa ti piace e che cosa non ti piace della nostra parrocchia?

R. Domanda spinosa! In effetti mi rendo conto che non basta un anno per rispondere con consapevolezza. Io sono felice di aver trascorso questo tempo con voi e so di aver imparato molto da S. Agostino; la parrocchia procede a gonfie vele ed è un esempio per tante altre realtà. Non sono parole di sviolinata iniziale, sono ciò che percepisco nel profondo. Se poi mi viene chiesto cosa mi piace e cosa no… cerco di non eludere la domanda ma senza trascurare il fatto che il giudizio complessivo è di grande stima ed affetto.
In particolare mi piace la disponibilità, la generosità in tutto quel che si fa, l’attenzione al prossimo, che sia ammalato, anziano, straniero, bambino… c’è sempre slancio, cura, dedizione piena: quante persone offrono tanta parte della loro vita per la giusta causa di aiutare il prossimo o di celebrare degnamente ogni occasione.
Mentre se mi “costringi” ad esprimere quel che non mi piace… come quasi sempre accade, si tratta del rovescio della stessa medaglia: quante volte il nostro miglior pregio si trasforma anche nel nostro peggior difetto! Nel caso della parrocchia, quel che a volte ho percepito è come un senso del dovere che rischia di far apparire pesante questa o quella attività, come un senso di poca libertà nel dover organizzare sempre bene: bisogna far questo… poi ci sarà quell’altra scadenza… a volte avrei desiderato vedere più gusto in quel che si fa, magari con qualche imperfezione in più ma anche con più semplicità, immediatezza, spontaneità; con meno ossequio della tradizione, di come si è sempre fatto, ma anche con meno paura di sbagliare. Con meno tensione ad arrivare a tutto e più tensione ad arrivare al cuore!
È solo una sensazione, ed è solo per andare a cercare il pelo nell’uovo, tenendo conto poi, soprattutto, del fatto che sono solo un “moccioso” appena uscito dal seminario e dunque inesperto nella vita di parrocchia; anzi quasi spaventato dalla grande mole di impegno che richiede se portata avanti con tutti i carismi. Per questo so bene quanto mi è servito condividere con voi questo anno in cui ho un po’ messo da parte i libri ed affrontato un poco la vita vera, “sul campo”.



Arrivederci a Colonia

Torvergata - Roma, 19 agosto 2000. Il Papa salutò due milioni di giovani che provenivano da tutto il mondo in occasione della XV Giornata Mondiale della Gioventù con queste parole: “Ci rivediamo a Toronto nel 2003…Il Papa sarà con voi..”. Io che ero tra quei due milioni di giovani ricordo ancora molto bene con quali emozioni e con quali sensazioni lasciai la “Roma del Giubileo” per tornarmene a casa. Ero così colpita da quella meravigliosa esperienza che la mattina successiva al mio ritorno presi un bel salvadanaio e scrissi sopra “Toronto 2002”. Quando poi venne il momento di decidere se partire o no per la XVII GMG ero molto indecisa. Il ricordo di Roma era ancora vivo ma le paure e le difficoltà sembravano più forti…La lontananza, il prezzo del viaggio sicuramente molto più alto rispetto alla GMG di Roma, il pericolo del terrorismo (neanche un anno era passato dall’attacco alle torri) il fatto che della nostra parrocchia eravamo solo in tre, la paura dell’aereo… Ho vinto le mie paure, e se siamo riusciti a partire dobbiamo dire un grazie a Padre Giustino che a nome della parrocchia ha dato a tutti noi tre ragazzi un contributo in denaro permettendoci di superare le difficoltà economiche. Ora so per certo che, se mi fossi persa questa esperienza, sicuramente avrei perso tanti spunti di riflessione, tante cose che mi hanno fatto riflettere e crescere…un’esperienza indimenticabile. Siamo quindi partiti insieme ai ragazzi della pastorale giovanile di Gubbio formando un bel gruppo di 21 giovani tra i quali c’erano anche tre ragazzi scout…Tutto il viaggio l’abbiamo fatto insieme alle diocesi umbre. Siamo partiti da Gubbio il 16 luglio diretti all’aeroporto di Roma in direzione New York. Il nostro viaggio prevedeva tre giorni a New York, cinque a Watford, un piccolo paese nella regione dei grandi laghi in Canada e una settimana, appunto quella della giornata mondiale con il Papa, a Toronto. Che cosa raccontare? La voglia è di fare partecipi tutti di un’esperienza così individuale per far comprendere, per condividere…E’ difficile però a parole, descrivere e rendere l’idea di quelle emozioni, di questa esperienza così forte. Nel momento in cui vengono scritte queste righe è passato un po’ di tempo da quando siamo tornati a casa. E allora viene da parlare delle cose più belle, più commoventi, quelle che si sono scolpite nella mente e che il tempo, sicuramente, non potrà mai scalfire…Chi potrà mai dimenticare il nostro Papa, il Papa dei giovani? Un Papa stanco e sofferente, che a fatica riesce a stare in piedi, che parla con voce tremula, ma che ha un carisma e una volontà da invidiare ad un ragazzo. Ricordo che, quando il Papa pronunciò a Roma quelle parole, nessuno di noi credeva che proprio lui, già nel 2000 così stanco e ammalato, ce l’avrebbe fatta ad incontrare nuovamente i suoi giovani a Toronto. Per chi come me l’aveva visto a Roma è stato veramente un dolore vederlo in quelle condizioni, vedere il suo volto trasformato dalla sofferenza, il Papa è veramente molto stanco e ogni volta che lo si vede sembra sempre che non debba resistere ad una nuova missione…E invece ha stupito tutti, ha stupito gli scettici e quelli che non credevano in lui: con la sua tenacia, la sua fede, la sua preghiera ha superato il suo dolore per incontrarci, per starci vicino, per darci conforto e consolazione, ha sceso le scale di quell’aereo da solo e a piedi, facendo commuovere migliaia di persone. Lui, Giovanni Paolo II, è un Papa che dà forza, che incoraggia e non si lascia scoraggiare. Nelle sue parole, nelle parole che rivolge ai suoi giovani che egli ama così tanto, c’è speranza, fiducia, parole che scuotono, che animano…
Chi dimenticherà mai quella notte a Downsview Park, tutti accampati sotto la Croce del Giubileo, a pregare insieme quasi come se le lingue diverse non fossero più un ostacolo? Il tema della GMG era “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo” (Matteo 5,13) …Che RESPONSABILITA’! Siamo noi giovani, le sentinelle del mattino (come ci aveva chiamato il Papa a Roma) ad avere nelle mani il futuro del mondo! Come potremo scordare le parole del Santo Padre che ci conducono a Cristo…? “Fidatevi di Dio, perché Dio si fida di voi”. E ancora “Impegnatevi nel costruire nella città dell’uomo, la città di Dio”; o ancora “Non credete di essere troppo giovani per avviarvi sulla strada della Santità. La via della Santità è giovane, come è eterna la giovinezza di DIO”.
Chi scorderà quel momento commovente in cui durante la Messa il Papa ci ha detto che ci vuole bene e che lui è vecchio, ma nel cuore nutre ancora tutte quelle speranze e quelle aspettative che si possono trovare nel cuore di qualsiasi giovane, e tutti urlavano “Pope is young!” (“Il Papa è giovane”)?
Come potremo cancellare tutti i momenti di festa, di allegria, di spensieratezza, di scherzo? Ormai tutti conoscevano il gruppo di Gubbio come quello più simpatico e più scanzonato: l’alzata dei ceri a Manhattan, l’albero della cuccagna durante una festa con altri pellegrini americani, italiani e hondureni, le canzoni negli autobus e nei tram, i balli nella metropolitana, all’aeroporto…Quel clima grazie al quale si parla e si scherza con persone mai viste prima e che probabilmente non si incontreranno più, i giochi e gli scherzi.Un episodio particolarmente divertente è stato quando eravamo alle cascate del Niagara in attesa di tornare nell’autobus, in viaggio per Watford. Per ingannare l’attesa due ragazzi hanno preso sulle spalle una ragazza che impersonava S. Ubaldo, davanti la “banda” che fingeva di suonare “O lume della fede”, dietro la processione, con tanto di persone che andavano a “toccare il mantello”. E così ci siamo incamminati a “suon di musica” di fronte alle vetrine dei negozi…Immaginatevi la faccia di questi americani alla visione di un gruppo di ragazzi che più che pellegrini sembravano un po’ fuori di testa: l’effetto era degno di qualsiasi candid camera. Ci siamo davvero divertiti.
E come dimenticare come ci hanno accolto le famiglie che ci hanno ospitato? Sia a Watford infatti, sia a Toronto abbiamo dormito in famiglia. Anche questa è stata sicuramente un’esperienza molto bella. Vivere come loro, mangiare come loro, pregare e dire messa come loro. E poi ci hanno veramente donato il loro cuore, mettendoci a disposizione veramente tutto quello che avevano, accogliendoci proprio come dei figli.
Chi si scorderà poi dell’accoglienza degli italiani emigrati la maggior parte nel secondo dopoguerra in Canada? Immaginate cosa ha significato per noi dopo una settimana di hamburger e di hotdog mangiare la prima sera che siamo arrivati a Toronto, lasagne e pollo arrosto. E poi vedere queste signore italiane che giravano per le strade di Toronto con frutta, caramelle, cioccolata in borsa e le regalavano ai ragazzi italiani che incontravano. Ciò ci ha fatto molto riflettere su quanto ancora queste persone si sentano attaccate alla loro patria, per loro è stata veramente una gioia incontrarci, come lo stesso è stato per noi.
E infine chi potrà scordare quei stupendi paesaggi naturali del Canada? La bellezza dei laghi le riserve, le foreste, le cascate del Niagara. E poi Toronto, New York, il vuoto desolante di Ground Zero.
Sicuramente non potrò scordare nulla di ciò e sicuramente, se sarà possibile, ripeterò ancora una volta questa esperienza andando a Colonia nel 2005 dove si svolgerà la prossima GMG.
Tante e tante altre cose ancora si potrebbero raccontare, così tante che quasi si potrebbe scrivere un libro…E allora il mio invito va a tutti quei giovani, che in questo momento stanno leggendo questo articolo, a non limitarsi ad ascoltare un racconto, ma a VIVERE la stupenda esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù. Arrivederci a Colonia!!!

Silvia Fanucci


PRATICHE SCARAMANTICHE E ALTRO……
(Caso Trapattoni - Santificazione di Padre Pio)

Come tutti, quando ho potuto, ho vissuto la vicenda dell’Italia agli ultimi campionati mondiali. Anch’io ho mugugnato per le ingiustizie arbitrali nei confronti della nostra squadra e per le sconfitte, ma ho anche fatto qualche riflessione.
Mi sembra che giornali, radio e televisione abbiano dato un risalto eccessivo ai mondiali di calcio. Come se essi fossero la cosa più importante di questo mondo. Infatti i mondiali di calcio e le vicende correlate, per giorni e giorni, sono state la notizia di apertura e di approfondimento.
E’ proprio il caso di dire che c’era una strategia universale perché avessimo tutti “la testa nel pallone” .
Un’altra cosa che mi ha molto colpito, sono stati tutti quei segni di croce che i giocatori si facevano toccando anche il terreno di gioco.
Ma ciò che mi ha veramente scandalizzato è stato l’ormai famoso gesto di Trapattoni, per me soltanto scaramantico: versare acqua “santa” da una bottiglietta sul terreno di gioco. Come chi tira fuori il corno rosso o altro oggetto per tener lontana la sfortuna.
Inoltre ciò che mi ha amareggiato maggiormente è che da parte nostra, cattolici e gerarchia, questa vicenda non è stata condannata, anzi c’è stato chi l’ha addirittura lodata.
Sono assolutamente in dissenso. Io ho visto quel gesto solo e soltanto come scaramanzia, la Fede non c’entra proprio niente.
Ma che c’entrano, l’acqua santa, i segni di croce con il gioco del calcio?
Oddio chiamarlo GIOCO ormai è una sciocchezza, con tutti gli interessi che vi girano intorno, con tutti i risvolti economici leciti e no, che ci sono in ballo!
Passo ora all’altro avvenimento (spettacolo!!!): la santificazione di Padre Pio che ha suscitato in me lo stesso atteggiamento critico.
A conforto delle mie perplessità riporto quanto detto da Don Leonardo Zega, già direttore del settimanale “Famiglia Cristiana”, che è stato uno dei pochi commentatori che ha osato far sentire la sua voce sul caso Padre Pio, egli dice:
<<…ma vedere un vescovo e Valeria Marini, in tv, seduti uno accanto all’altro, a parlare di un santo, fa un certo effetto. Tra fede professata e vita vissuta c’è ormai un divario evidente e comunemente accettato, anche se dalle lettere che ricevo noto un forte disagio dei cattolici qualunque, infastiditi perché sembra sia concesso tutto, solo ai personaggi famosi o potenti>>.
La grande spettacolarizzazione per la santificazione di Padre Pio o il gesto di Trapattoni, anche a me sembra che contribuiscano fortemente soltanto alla banalizzazione della religione al ribaltamento dei veri valori religiosi. A conferma di ciò che affermo, basta riportare il caso dei “fedeli famosi” di Padre Pio (tra cui anche Lino Banfi che certamente in passato ha fatto film molto, molto, discutibili) oppure l’uso del crocefisso come gadget d’abbigliamento. Infatti continua Don Zega
<< non voglio fare il moralista ma è chiaro che non posso non esser infastidito da certe manifestazioni pubbliche di personaggi di primo piano, che non sono accompagnate da comportamenti coerenti nella vita personale. Ormai alle convinzioni si sono sostituite le mode e anche la religione, se fa “tendenza”, va bene così, in barba alle coerenze. Forse per reazione a qualche eccesso moralistico di ieri, siamo passati all’opposto, all’incoerenza plateale…>>
La FEDE di un calciatore o di un allenatore o di un attore, io la giudico dal suo comportamento e dalla sua correttezza: sul campo di calcio o nei film interpretati e, soprattutto dal suo comportamento nel vivere quotidiano e non certamente dal fatto che si faccia il segno di croce o versi dell’acqua benedetta sul terreno di gioco o che porti un crocefisso o che si professi fedele di Padre Pio o di qualche altro santo.
A me interessa il cercare di vivere la fede in Dio nella vita di tutti i giorni, con l’impegno a “sfruttare” le proprie particolari doti (essere un bravo calciatore o allenatore o attore/attrice) anche coinvolgendosi per aiutare a risolvere, pur con piccoli gesti e comportamenti, i problemi che affliggono il mondo: la delinquenza, la fame, le malattie, il sottosviluppo, le guerre o nel fare iniziative per la ricerca della pace e della fratellanza universale (qui sì che il gioco del calcio, per esempio, potrebbe avere un ruolo importante).
Mi vengono in mente alcuni esempi: il complesso musicale “I Nomadi”, ormai da moltissimi anni sulla scena, che pur non dichiarando fedi religiose o proselitismo verso qualche santo particolare, porta avanti molte iniziative di solidarietà tra cui: Emergency, Operazione Mato Grosso, Adozioni a distanza… Così, altro esempio, è il cantautore Angelo Branduardi che utilizza il suo lavoro e la sua popolarità per portare il suo aiuto ad associazioni, che si interessano dei bambini maltrattati, partecipando ad iniziative umanitarie e cercando di trasmettere con la sua musica un messaggio di pace universale. Anche Jovanotti porta avanti con la sua arte un forte impegno sociale.
Ma questi esempi citati: I Nomadi, Branduardi, Jovanotti e anche altri, impegnati nel campo della solidarietà, non hanno tutta quella risonanza che hanno certi altri personaggi che sbandierano pubblicamente la loro “devozione” a qualche santo.
Proprio per la loro popolarità, personaggi come calciatori o allenatori famosi, potrebbero manifestare la loro fede, più che con quei gesti o atteggiamenti che come ho già detto io considero solo scaramantici, con veri gesti di solidarietà, dimostrando realmente che non pensano sempre e soltanto a come poter accrescere sempre più il loro conto in banca o che non hanno il fine di ricercare, a tutti i costi, la popolarità sfruttando, per ottenere ciò, anche la religione.
Per concludere e sorridendo, mi sorge spontanea una domanda:
che la sconfitta dell’Italia ai mondiali sia stata un segno divino?


Gianni Vantaggi


Adelaide e Tommaso:
due vite spese nella Chiesa.

Adelaide e Tommaso sono entrati nella mia vita in punta di piedi, com’era loro abitudine, ed entrambi lo hanno fatto attraverso la mediazione della Chiesa. Tommaso è stato il mio primo catechista, mi ha insegnato i fondamenti della dottrina cattolica quando ero ancora troppo piccolo e vivace per rendermi conto del tesoro che mi veniva donato. Ma attraverso lui il “Signore ha messo un seme nella terra del mio giardino”. Quando sono “tornato” nel gregge della Chiesa, dopo gli anni turbolenti dell’adolescenza, Tommaso era ancora lì, con la stessa semplicità e tenacia di un tempo, quasi mi avesse aspettato… A volte ricordavamo insieme gli anni del catechismo, e da lì prendeva spunto per aprirmi il suo cuore sulla sua infaticabile attività di maestro elementare. Mi raccontava dei suoi metodi di insegnamento, così efficaci perché ancorati alla vita, al bisogno insito in ogni uomo di innamorarsi del sapere. Era convinto che per imparare a nuotare bisogna buttarsi in acqua, e così, per insegnare a leggere ai suoi alunni, li buttava nell’oceano dei testi scritti. Magari leggere una sola frase, diceva, ma leggerla bene, senza balbettamenti e incertezze. Da quella sola frase letta bene, sarebbe seguito tutto il resto. In questo, credo che Tommaso fosse debitore alla saggezza cattolica, in cui un solo aspetto della dottrina è in grado di far luce su tutto il “deposito della fede”. Magari anche nel suo metodo di insegnamento la fede è riuscita a farsi vita concreta. Approfondendo la nostra amicizia, abbiamo scoperto alcuni interessi comuni, primo fra tutti l’amore per la musica classica e lirica. Tante volte mi ha invitato a casa sua per farmi ammirare il suo smisurato archivio musicale. Mi ha regalato il cd della “Traviata” e la videocassetta del “Trovatore”, cantavamo insieme le arie della Cavalleria rusticana e mi ha introdotto ai tesori della musica classica. A volte, durante la messa, da dietro al “coro” mi capitava di incrociare il suo sguardo e lo vedevo arricciare il naso nell’ascoltare le nostre canzoni moderne strimpellate alla chitarra. In fondo, amava la bellezza sublime della musica classica. Oserei dire che amava la bellezza in ogni sua manifestazione: nelle ragazze carine scelte per le letture della messa, nelle opere d’arte delle nostre chiese eugubine, nell’intonazione corretta dei canti quando mancava la musica dell’organo. Ma guai se la bellezza era minacciata anche lontanamente dalla volgarità; niente gonne troppo corte, scollature troppo pronunciate, trucco troppo pesante… Anche qui Tommaso possedeva quell’autentico spirito cattolico che sa mediare in modo sublime l’amore per la bellezza e il rifiuto delle sue caricature.
Ho conosciuto Adelaide molto più tardi, nel 1996. Frequentavamo insieme gli esercizi spirituali del Vescovo a san Francesco. Sapeva già tutto di me: conosceva la mia famiglia e, malgrado l’età già avanzata, era in grado di ricostruire tutto il mio albero genealogico delle ultime tre o quattro generazioni. Ha saputo subito conquistarmi con il suo sottile umorismo e con la sua inimitabile semplicità nell’esprimere le verità più complesse. Mi ha fatto un dono bellissimo: ha accettato di uscire con me qualche volta. Andavamo insieme al “corso per operatori pastorali della diocesi”. Ci sentivamo per telefono e poi passavo a prenderla a casa, tra le mille raccomandazioni di Tommaso. Non dimenticherò mai quei brevi viaggi. Non si stancava mai di incoraggiarmi per le mie scelte di vita, per i miei studi di Scienze Religiose (in cui intuiva un “progetto”, anche se certa teologia, per la sua saggezza, era un pericolo più che un servizio reso alla fede). Ad ogni prova d’esame potevo contare sulle preghiere sue e di Tommaso. Esiste dono più grande in un’ottica di fede? Adelaide ha cercato di trasmettermi l’importanza di mettere sempre il Signore al primo posto. Diceva spesso che la sua venerabile età era stata un “soffio”. Tutto passa, solo il Signore resta sempre e non delude. Una volta mi ha regalato un suo scritto: una specie di “discorso in rima” pronunciato durante una sua festa. In alcuni passaggi ritrovo tutta l’umanità di Adelaide: «da giovane me so’ fatta francescana ed ho ‘mparato molto dalla persona anziana (…) ‘n me so fatta suora né sposata, ‘n so s’ho fatto male o so’ fortunata (…) me son passati presto ‘sti anni, ho girato poco ‘l mondo, ho avuto l’occasione de vede’ qualche città, ma ‘n’ero abituata, ‘n vedeo l’ora de torna’ (…) Se volemo risolve’ tutti i problemi, ‘n ce voglion i chiromanti, ma esse’ più vicino a Dio e ai Santi. Dovem mette’ al primo posto ‘l Signore che è non solo ‘l Creatore, ma anche ‘l Padrone. Ve auguro a tutti pace e bene e di ritrovarci in Paradiso tutti insieme!». Le ultime volte che ci siamo visti in Chiesa, Adelaide, con la solita discrezione, mi faceva capire che desiderava che la andassi a trovare. Purtroppo, tutto preso dal lavoro e dallo studio, ho sempre rimandato e, alla fine, non sono riuscito a farlo. Vede, cara Adelaide, che non ho ancora imparato a mettere il Signore al primo posto… Davvero solo Lui non l’ha mai delusa!
Durante le esequie di Tommaso e Adelaide abbiamo recitato il prefazio dei defunti che dice: ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata. Questi due fratelli, preziosi compagni di cammino che il Signore ha donato alla nostra comunità parrocchiale, ora hanno raggiunto il loro compimento. Dal Cielo, ne siamo certi, continueranno, in modo nuovo (trasformato!) e ancor più efficace, a sostenere la nostra parrocchia. Chissà, magari qualche parrocchiano riceverà una grazia che da tempo richiede, vedrà risolversi qualche problema, noterà qualche strana “coincidenza”… Stia certo che Adelaide e Tommaso, con la loro solita presenza silenziosa, ci avranno “messo lo zampino”!
Cari Adelaide e Tommaso, grazie di cuore, da parte della comunità parrocchiale, per tutto quello che ci avete donato. A Dio…

Luigi Girlanda



Terremoto e pubblicità

Sono arrabbiato, magari sbaglio ma sono arrabbiato e vi spiego perché.
Ieri sera in televisione in prima serata si consumava la tragedia della scuola di San Giuliano, in Molise, crollata dopo il terremoto, colpivano tutti quei poveri bambini sepolti sotto le macerie. Si alternavano speranze, delusioni, rabbia e si era lì, seppur lontani, non con spirito di curiosità, ma partecipi di una tragedia immensa. Perché siamo tutti mamme, babbi, zii, fratelli. Perché sappiamo bene che cosa significa vivere con la paura del terremoto. Perché capivamo l’angoscia di un paese distrutto, prima ancora che negli edifici, nei propri sentimenti (in quanto se su 1.300 anime muoiono quasi 30 bambini il paese è davvero distrutto). In questo contesto, mentre parlavano ministri, vulcanologi, geologi, dirigenti della Protezione Civile per provare a dare qualche perché, è arrivato un ospite inatteso: la pubblicità. Forse volevano sollevarci, ma sapere che il Kinder Bueno non fa venire né la ciccia né i brufoli (miracoloso) o che i Biscotti del Mulino Bianco sono fatti come li faceva la nonna (ma la nonna di chi? La mia faceva delle ciambelle che questi biscotti se le sognano). Non mi è stato di nessun aiuto ed anzi mi ha indignato.
Io non sono in assoluto contro la pubblicità, capisco che televisioni e giornali vivano e sopravvivano solo grazie a questo, ma l’etica dov’è finita? Davvero non si poteva evitare? Davvero era necessario sfruttare un auditel presumibilmente elevato e quindi una tragedia per vendere qualcosa? E se ci rivoltiamo la domanda contro, davvero il giorno successivo al supermercato parlando al bancone di quei poveri bambini, ci è rimasta in mente quella pubblicità e compriamo quel prodotto?
Se è così “semo del gatto” come si dice dalle nostre parti. Io mi auguro di no. Chiedo allora a chi la pensa come me un sussulto d’orgoglio; non arrabbiamoci solo quando la pubblicità ci impedisce di rivedere un tiro di Ronaldo che è finito due metri sopra la traversa. Talvolta pensiamo rassegnati che non possiamo farci nulla, ma in questo caso non ci dobbiamo scordare di avere in mano un’arma micidiale: il telecomando.
Nel telecomando di qualsiasi marca e tipo sia, c’è un tasto semplice che ha una funzione altrettanto semplice: chiudere la televisione quando ci sentiamo presi in giro. Facciamolo più spesso.


ADAMO FANUCCI,Gubbio (PG)


A PIO


Il 4 giugno, vittima innocente di un tragico incidente stradale, Pio Bendetti se ne è andato lasciando un vuoto incolmabile. Vogliamo ricordare Pio semplicemente, come semplice è stata la sua vita, con questa lettera che ci è giunta in redazione.

Ho perduto un amico, non sapevo che lo fosse così tanto,
l’ho capito solo nel dolore.
Ho perduto un sorriso, non sapevo fosse così coinvolgente,
l’ho capito solo nel dolore.
Ho perduto un “fratello”, così aperto alla vita ed ai suoi impegni,
l’ho capito solo nel dolore.
Ed allora arrivano i PERCHE’ :
perché non ci sei più
perché non hai potuto realizzare i tanti progetti che avevi ancora in mente,
perché non ci siamo lasciati trascinare ancora di più dal tuo entusiasmo
in tutte le tue attività,
perché non abbiamo passato altro tempo insieme.
La risposta è tutta lì, nel dolore.
Serve il dolore per capire, per svegliarci dal torpore in cui tante volte,
scorre la nostra vita.
Il vuoto che sentiamo, forte, dentro di noi, dopo la tua scomparsa non ci abbandona
non tende ad affievolirsi.
L’unica possibilità sarà provare a riempire questo vuoto, cercando di attingere
da quella tua straordinaria carica umana, dalla tua straripante simpatia e, come tu amavi dire, con “lo spirito di servizio”.
Quello spirito di servizio che ha distinto sempre la tua VITA nella famiglia, nella scuola, nella chiesa, nella società.
GRAZIE, PIO, PER ESSERCI STATO AMICO.


SCOUT: questi sconosciuti...

Quando per cause di forza maggiore ci siamo ritrovati senza sede, gli unici che ci hanno ospitato nei propri spazi, senza farci troppe domande, “ comprando “, come si dice “ a scatola chiusa”, sono stati i frati di S. Agostino. Da allora continuiamo ad “ operare” in SW. Agostino, e a piccoli passi, ci stiamo integrando sempre più con la vita della parrocchia.
Questo di scrivere sul giornalino parrocchiale è un modo tra tanti, serve a noi per uscire un tantino dal nostro guscio e speriamo serva anche a chi leggerà questo articolo e perché no…. Ne sarà incuriosito !!!
Difficile comunque parlare e scrivere di Scoutismo; la cosa migliore, come succede un po’ per tutto, sarebbe viverlo!!! E comunque l’Agesci (Associazione Guide E Scout Cattolici Italiani), di cui noi facciamo parte, è una vera e propria “ agenzia educativa” e coinvolge ragazzi e ragazze dagli 8 ai 20 anni; è una delle poche realtà presenti sul territorio che abbraccia la crescita dei ragazzi completamente da quando sono bambini (lupetti e coccinelle, 8-12 anni), adolescenti (Scout e Guide, 12-16 anni), a uomini e donne (Rovers e Scolte, 16- 20 anni). Ogni branca viene gestita da un certo numero di capi che insieme formano la Comunità capi che rappresenta l’organo di gestione del gruppo Scout.


Lowan compì il suo dovere, perchè butto via con un calcio la sillaba IM dalla parola IMPOSSIBILE.
Chiunque agisce così è certo di riuscire.


Lo Scoutismo, per chi bene lo conosce e lo vive, è un vero e proprio mondo, fatto di tanti simboli, colori, nomi in codice, ognuno dei quali nasconde, per chi solo ha voglia di comprenderlo e guardare oltre, un significato educativo profondo. Il semplice stare in cerchio ( figura geometrica che rimanda alla perfezione e all’uguaglianza) l’indossare tutti la stessa uniforme (che unisce a differenza della divisa) testimoniano i valori profondi in cui crediamo e che tentiamo di “ far passare” ai nostri ragazzi.
La promessa e la legge Scout, che si pronunciano durante gli anni di Reparto, non sono semplicemente delle formule e dei riti simpatici da fotografare, sono molto di più, rappresentano un impegno che tutti noi scout ci siamo presi, quando l’abbiamo pronunciate. La legge scout si ispira all’antico codice dei cavalieri ed inoltre ha notevoli analogie con i 10 Comandamenti (basta confrontarli!); ma, a differenza di essi, non è formulata come un insieme di divieti, è sempre positiva, invita e sprona a tirare fuori il meglio di sé, senza vietare nulla a nessuno, bensì suggerendo di fare sempre la scelta giusta. Insieme la legge, anche la promessa scout è un concentrato di vita cristiana: ci chiede di aiutare sempre e comunque i più deboli, di essere dei buoni cittadini e ribadisce l’adesione alla legge. Per gli scout cattolici, gli elementi della legge e della Promessa si inseriscono pienamente nell’educazione cristiana dei Ragazzi.
Lo Scoutismo è davvero una grande scuola, ma senza libri, senza banchi e senza lavagne… è basato sul gioco (L/C), sull’avventura (E/G) e sul servizio al prossimo (R/S); ma non col fine di fabbricare tanti eroi dei cartoni animati, ma semplicemente dei buoni cittadini.
Baden Powell ( il nostro fondatore) diceva che in ogni ragazzo c’è almeno il 5% di buono; fare scoutismo aiuta a tirare fuori questo 5% e a farlo moltiplicare, perché l’ottica di partenza è sempre positiva e mai disfattista. Si parte dal presupposto che nulla è impossibile e perché soprattutto si vivono esperienze forti ed auto educative sulla propria pelle ( “ se il fuoco non si accende non si mangia”, “ se non faccio bene lo zaino, cammino con difficoltà”, “ se non porto il poncho e piove, mi bagno”). Inoltre il vivere in comunità, a contatto con la natura e solo con l’essenziale offre numerose opportunità di confronto e crescita.
Quest’anno il nostro Reparto (E/G, 12-16 anni) si prepara a vivere un evento, nel vero senso della parola: il Campo nazionale, che vedrà coinvolti su tutto il territorio italiano circa 20.000 persone tra capi e ragazzi.
Si respirerà quella dimensione di fratellanza scout che i nostri ragazzi, almeno fino ad oggi, non hanno mai vissuto. E siamo sicuri che tutto il buono che da questa esperienza arriverà, e sicuramente arriverà, ricadrà come frutto maturo una volta tornati a casa!
Se stiamo lavorando a questo campo e vi parteciperemo, è anche grazie a chi ci ha ospitati senza pretendere nulla in cambio e ci ha permesso di non mollare!

Il gruppo scout



SULLE ORME DI ROBIN HOOD
Il campo estivo del gruppo Scout Gubbio 2 si è tenuto dal 4 al 14 agosto a Montemonaco di Vallegrascia, sui Monti Sibillini. Il campo in parte è stato dettato dal mal tempo che ha inciso sullo svolgimento delle attività, ma questo non ha rovinato l’atmosfera che si era creata tra tutti noi e l’entusiasmo con cui eravamo partiti. Il campo era incentrato sulla storia di Robin Hood, seguendo tutti gli avvenimenti della vicenda: il ritorno dalle crociate, la nascita dell’allegra compagnia nella foresta di Sherwood, le rapine ai convogli delle tasse, ed ancora il torneo di tiro con l’arco, la sfida con lo sceriffo di Nottingham, ed infine la sconfitta del malvagio Principe Giovanni senza terra e il ritorno di re Riccardo. Abbiamo vissuto momenti avventurosi ed intensi, tipici di un campo scout, come l’hike di squadriglia che consiste in un pernottamento effettuato singolarmente da ogni Squadriglia. Altri ancora sono impressi nel mio cuore: la veglia alle stelle, uno stupendo momento di riflessione che viene fatto una notte di campo, guardando le stelle e ripensando alla propria vita; la prova di coraggio, che viene fatta in Reparto agli Scout grandi, ed infine l’uscita di Reparto. Dopo l’esperienza del 2001 sul Monte Catria, quest’anno abbiamo raggiunto la cima del Monte Vettore: l’” impresa “ è stata caratterizzata dai fenomeni atmosferici come vento , pioggia e soprattutto nebbia, ma alla fine siamo riusciti a raggiungere la vetta ed a scattare una foto che rimarrà memorabile!!!!! Robin Hood ha sicuramente insegnato a tutti noi che per riuscire a realizzare qualcosa che desideriamo fortemente, bisogna credere in essa e continuare a “lottare” contro ogni avversità.

Alessandro Leonardi.

Legge

Pongono il loro onore nel meritare fiducia
Sono leali
Si rendono utili ed aiutano gli altri
Sono amici di tutti e fratelli di ogni altra guida o scout
Sono cortesi
Amano e rispettano la natura
Sanno obbedire
Sorridono e cantano anche nelle difficoltà
Sono laboriosi ed economi
Sono puri di pensieri, parole ed azioni.

Promessa.
Con l’aiuto di Dio prometto sul mio onore di fare del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio paese, per aiutare gli altri in ogni circostanza e per osservare la Legge Scout.


Il “Vacanziere”

L’avventura di “quattro chiacchiere” come si diceva in prima pagina, si sta per concludere e quindi anche la mia rubrica, che per tanti numeri vi ha fatto visitare luoghi esotici e lontani, prenderà un periodo di “ferie”.
In questo percorso durato cinque anni ho cercato di trasmettere in primo luogo il mio modo di pensare e la mia passione per i viaggi nella speranza di indirizzare il piacevole passatempo dei miei pochi lettori in qualche cosa che serva veramente, che diventi esperienza e un cammino che ti arricchisca interiormente, che sfoci in un’attenzione più grande verso gli altri.
Non mi sono mai stancato di ripetere, e lo farò anche per l’ultima volta, di ricordare che un buon “vacanziere” deve lasciare alle spalle sempre le proprie abitudini, essere curioso, ma sempre andare incontro alle altre culture con rispetto e discrezione.
Tutti coloro, che ritengono che la passione di viaggiare sia una cosa importante per la loro vita e che ogni volta che sono di ritorno da qualche remota località di questo mondo mantengono sempre una voglia matta di ripartire, possono sempre contattarmi al mio indirizzo e-mail vacanziere@hotmail.com.

Un abbraccio Raoul Caldarelli



Lettera ai Cardinali per l’elezione del papa che verrà

Vi raccomandiamo di scegliere un pontefice non solo pio, ma intelligente, fermo e prudente, che si circondi di uomini illuminati e disinteressati, uguale con tutti i suoi figli, libero per sé e per la chiesa da ogni mira terrena; unito ai vescovi da fiducia e carità reciproche. Un pontefice che non legiferi nelle materie libere e discutibili, rispettando il nativo diritto degli uomini a cercare le verità umane e perseguire gli interessi di questa terra con metodi loro, pur mostrando le vie del cielo e affermando gli eterni principi.
Un pontefice che rispetti l’azione misteriosa della Grazia dentro le anime, le coadiuvi, le guidi; che guardi agli altri cristiani con la simpatia che guadagna i cuori, che anteponga la persuasione alla coercizione; che moderi lo zelo amaro di una ortodossia verbale, presuntuosa, aggressiva e persecutrice; che non lasci condannare nessuno che non fosse ascoltato; che preferisca la giustizia e la carità alle virtù passive; che ami il popolo e si volga a lui non per organizzarlo in partito ma per comunicargli la luce, la gloria, la libertà di Dio; un pontefice che dica ai potenti parole inflessibili di giustizia.

P.S. Questo scritto non è il pensiero di qualche odierno commentatore, ma la lettera che lo spoletino Don Brizio Casciola inviò nel 1914 ai Cardinali che in concistoro avrebbero poi eletto Benedetto XV.

Tonino Fagiani